[…] Di fatto incomincia a serpeggiare nella pubblica opinione il desiderio di un approccio meno fugace agli interrogativi che propone il lento rimemorare della coscienza collettiva. “Ho nostalgia perfino di ciò che non è stato niente per me”, cantava Fernando Pessoa. Allora, figuriamoci se ciò che è stato ha invece la forza di rappresentare – per me o per noi – un interesse ancora vivo, tanto da suscitare subito appresso il desiderio di farne memoria, per andare al sodo delle questioni attuali.
Se prendiamo appunti, leggendo il giovane Moro e scoprendo, infine, il suo rimanere giovane anche quando non lo è più, possiamo meglio renderci conto delle potenzialità nascoste nell’agire secondo una missione ideale, e perciò anche austera, ma aperta al senso del limite e allo spirito di collaborazione. Non siamo soli sul pianeta della politica: ci siamo noi e ci sono gli altri, per citare ancora Moro, avendo ciascuno il dovere di coniugare il proprio particulare con l’interesse più generale. Siamo ben lontani dal noi e loro contrapposti, come veleno della disgregazione d’indole egoistica, prossima al cinismo, che paralizza l’organismo di una comunità.
Ai giovani che si accingevano gli inizi degli anni ‘60 a rilanciare “Per l’Azione”, la rivista ideologica del Movimento giovanile, scriveva che in loro avvertiva “l’ansia di rinnovamento politico e civile, la fede nella possibilità di legare il nome del nostro partito ad una nuova fase del Risorgimento nazionale”, esortandoli pertanto a meditare sul fatto che “la classe dirigente di domani non potrà fare a meno di una profonda preparazione tecnica, politica, spirituale”. Un grande compito storico – aggiornare il Risorgimento – e dunque una nuova classe dirigente: è la duplice esigenza che in questo tempo di facile contestazione antipolitica, alla quale si associa maldestramente l’esaltazione dell’incompetenza come stigmate di onestà, torna a farsi valere in tutta la sua straordinaria portata etica e politica.
Non s’inventa, in altri termini, una classe dirigente sulla base di semplificazioni ogni volta più sconfortevoli che mai. Ci vuole preparazione e serietà, senza dimenticare la sorgente ideale che ne deve nutrire l’intima sostanza. A forza di cedere al pragmatismo smaliziato è venuto meno il valore della fede e della passione democratica. Orbene, tutti portiamo sulle nostre spalle la responsabilità di una politica più autentica, quindi più feconda, che metta al centro la speranza di un mondo nuovo – l’unica maniera, questa, per definire una politica di centro in grado di attuare l’istanza progressista del cattolicesimo democratico. L’identità e la coerenza, uniti alla reciproca comprensione, sono le trivelle che bucano la terra alla ricerca della falda, metaforicamente la falda della buona politica. I cristiani, per primi, devono amare questo tempo con piccoli e grandi esempi, senza rinnegare i percorsi della storia, con l’ardore necessario dei ricostruttori.
Per essere gli artefici di un nuovo Risorgimento.