Sono due i piani su cui si costruisce la risposta all’emergenza sicurezza innescata dal coronavirus: uno emergenziale, l’altro di medio-lungo termine. La turbolenza sui mercati che ha drasticamente ridotto la capitalizzazione di decine di aziende strategiche italiane una settimana fa ha suonato un campanello d’allarme. La Consob ha risposto con un blocco trimestrale delle vendite allo scoperto su tutto il listino. Ora è il turno del governo, che, parola del premier Giuseppe Conte, promette di estendere il golden power a tutte le società quotate sul mercato telematico.
Un ombrello che, una volta attivato, proteggerebbe da azioni ostili tasselli chiave di settori come Difesa, Aerospazio, industria pesante, ma anche del settore bancario e assicurativo. In verità, la normativa vigente fa già rientrare questi settori nel diametro dei poteri speciali introdotti dal governo di Mario Monti nel 2012. Mancano però, per banche e assicurazioni, i decreti attuativi. Ci si trova di fronte a un classico caso in cui la normativa e l’emergenza si rincorrono come Achille e la Tartaruga nel paradosso di Zenone: senza mai incontrarsi.
In questi giorni l’alert è stato lanciato dal Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che mercoledì prossimo si riunirà a Palazzo San Macuto proprio per discutere dell’ampliamento del golden power. Ma il nodo sicurezza è ben presente a tutte le forze di opposizione. Il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani, in una recente intervista a Formiche.net, si è detto a favore di un’estensione dei poteri speciali. Adolfo Urso, vicepresidente del Copasir e senatore di Fratelli d’Italia, si è spinto oltre. Già il 5 marzo, quando ancora la crisi del Covid-19 non aveva messo in quarantena l’intero Stivale, aveva depositato una proposta di legge per una revisione tout-court dell’intelligence economica a Palazzo Chigi. Non solo golden power, ma un aggiornamento del coordinamento fra intelligence, governo e grandi imprese con la previsione di due tavoli istituzionali e di un’autorità delegata per seguire da vicino il dossier, senza dover stare dietro alla quotidiana emergenza epidemiologica. Per il momento l’idea, ha detto Urso, è quella di intervenire con un emendamento al decreto “Cura Italia” per aumentare le difese del sistema Paese lì dove è più scoperto (è il caso, ad esempio, del public procurement per la Pa digitale, che con il nuovo decreto sarà basato su una semplice procedura negoziata tra Pa e fornitori e non più su una gara pubblica).
Questo è il secondo piano su cui si sta innestando in questi giorni fra politici e addetti ai lavori il dibattito sulla sicurezza, non solo in Italia. Imparare la lezione del virus, e approntare le difese per evitare che i settori chiave del Paese non siano più esposti. Per farlo, però, bisogna prima concordare su quali siano i “settori strategici”, e non è compito facile, spiega a Formiche.net Giuseppe Surdi, economista del Dipe (Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica) e del Griff (Gruppo ricerche industriali e finanziarie Fabio Gobbo) della Luiss Guido Carli.
“È interessante come in questi giorni sia in corso una ridefinizione del concetto stesso di interesse strategico, penso al settore sanitario. Il mercato italiano del farmaco è uno dei più ricchi, è molto attraente per le imprese estere ma ha una scarna presenza di imprese che competono a livello internazionale”. Il risultato in momenti di crisi come questo è che “si debba avviare una riconversione industriale come fossimo in tempi di guerra, e Ferrari e Maserati si fanno avanti per produrre i ventilatori”.
Il golden power è utile e necessario, dice l’esperto, “oggi lascia parzialmente scoperto un settore cruciale come quello finanziario e andrebbe esteso, è una riflessione che bisognava avviare tempo fa, perché una parte significativa delle attività finanziarie è controllata da soggetti esteri che agiscono direttamente nel nostro sistema”. Ma i poteri speciali non bastano. “Per decidere che cosa bisogna blindare serve un monitoraggio significativo e approfondito del sistema produttivo – dice Surdi – il tema non è solo evitare crolli finanziari con misure straordinarie, ma tutelare in anticipo l’esposizione di pezzi interi del nostro manifatturiero che possono essere mira di attività non amichevoli verso il nostro Paese”.
Basta potenziare la mappatura delle debolezze del sistema già attuata dall’intelligence, non serve ricorrere alla guerre economique, dice l’economista. Né inseguire gli alleati europei sul campo delle nazionalizzazioni, che il più delle volte sono solo ventilate. “La Francia ha sempre avuto una leva politica sulle imprese strategiche, e può contare sul fatto che le sue imprese più importanti seguano la bandiera, le dichiarazioni di questi giorni sono tattiche”. La Germania, che ha annunciato lo stanziamento di 550 miliardi di crediti per le imprese a rischio tramite la Kwf, esce invece da “una crisi profonda del manifatturiero e oggi sa che con un atteggiamento proattivo può limitarne i danni”.
L’Italia annuncia meno, ma fa di più, dice Surdi. “Credo che le autorità abbiano piena consapevolezza del rischio che corre il Paese, per questo stanno procedendo per step. Detto questo, solo in Italia, per ora, sono stati messi sul piatto veramente 25 miliardi di euro. Devono essere ancora erogati, ma c’è chi li ha solo annunciati o demandati”.
Fra addetti ai lavori si discute in questi giorni di un nuovo ruolo per Cassa Depositi e Prestiti, per farne un veicolo di supporto alle imprese strategiche esposte sui mercati. La verità, ammette Surdi, “è che Cdp è un asset del Paese, e ha già una notevole potenza di fuoco, ma non può fare troppe cose insieme, e oggi, con Deutsche Bank che prevede scenari da economia di guerra per l’Europa, parlare di una riforma è ancora prematuro”.