Oramai alcune cifre sono consolidate. Ad esempio in Germania (81 milioni di abitanti) si hanno più di 28 mila postazioni di intensive care quasi tutte al massimo livello (cioè con dotazioni di respirazione assistita), mentre in Italia (60 milioni di abitanti) esistono ca. 5.700 postazioni di intensive care molte delle quali sprovviste di dotazione per la respirazione assistita.
Più in generale in Germania esistono 8 posti letto ospedalieri ogni mille abitanti mentre da noi solo 3,2. La reazione che ho avuto quando ho evidenziato queste cifre è stata: “bisogna aumentare le risorse date alla sanità non tagliarle come è stato fatto negli ultimi anni”. Ma la nostra sanità è in grado di usare adeguatamente le risorse che gli vengono assegnate? La risposta è No! Aumentare le risorse alla nostra sanità senza ripensarne la gestione sarebbe un danno ben più grave di quelli sanitari provocati dal Covid.19.
Nel 1978 quando con la legge 833 abbiamo creato il Sistema Sanitario Nazionale abbiamo fatto una grande scelta di civiltà: ci siamo detti “l’ammalato deve pensare a curarsi e non si deve preoccupare dei costi delle cure, costi che devono essere a carico della collettività”. Abbiamo optato, cioè, per una sanità sostanzialmente pubblica e non privata. Scelta da condividere e su cui bisognerebbe non ritornare.
Sopra le Alpi (Germania, Belgio, Scandinavia, Francia etc.) la sanità pubblica è comunque affiancata da una sanità privata. Mentre in Italia la sanità privata è gestita da società di capitali (quindi ha uno scopo di lucro), negli altri paesi nordeuropei il sanitario privato è in mano a enti no profit. In questo modo tra il pubblico e il no profit privato si sviluppa una competizione molto benefica. Al punto che spesso in Germania e nelle Fiandre i Comuni preferiscono creare delle fondazioni per gestire i servii sanitari.
Il fatto è che nel 1978, al momento della creazione del Sistema sanitario nazionale, ci siamo preoccupati principalmente della scelta di fondo ma ci siamo preoccupati poco delle modalità organizzative e gestionali con cui realizzare concretamente queste scelte di fondo. Oggi in effetti dobbiamo prendere atto che quello di garantire le cure a tutti è un principio oramai saltato. Se voglio avere la diagnostica in tempo utile devo pagare.
In maniera simile sono costretto a pagare se voglio avere visite specialistiche in tempo utile e se mi voglio scegliere il medico da cui farmi curare. Mi è capitato di dover usare la sanità di alcuni paesi al di sopra delle Alpi. Il costo delle visite (che ho pagato privatamente) è sempre stato infinitamente più basso dei costi correnti in Italia. Sopra le Alpi si va dai 30 ai 50 euro a visita e, se si è cittadini del paese, si riceve un rimborso superiore al 90% della cifra pagata. Qui sta probabilmente il primo errore tecnico-gestionale: far coincidere chi eroga il servizio con chi lo finanzia. Sopra le Alpi vige il principio del “terzo pagante”: il malato non deve pagare ma chi eroga il servizio non è finanziato ma viene pagato da un ente terzo con cui deve misurarsi quotidianamente. Mi permetto qui di rinviare ad una analisi del Gimbe.
Da noi il metodo dei Drg (diagnostic related groups) dovrebbe garantire la corrispondenza di finanziamento con i servizi erogati. Il fatto è che il finanziamento calcolato secondo i parametri del Drg viene dato dalla Asl alla Asl!!!
Anziché far dipendere il finanziamento dai servizi erogati, i Drg hanno spesso portato all’imbarbarimento delle cartelle cliniche che non vengono più usate per gestire il paziente ma per giustificare i finanziamenti (tanto è vero che vengono di fatto aggiustate dopo le dimissioni del paziente determinando spesso attese di varie settimane per poterle consegnare al paziente che ne avrebbe bisogno subito, al momento delle dimissioni).
Non vi è qui spazio per approfondire la tematica della gestione sanitaria. Possiamo comunque enumerare i problemi che essa ha e che devono essere affrontati senza ulteriori rinvii. Innanzi tutto c’è il problema della formazione del manager della sanità. Al momento della creazione del Servizio sanitario nazionale l’ospedale si basava sulla figura del primario (figura ignota sopra le Alpi). Si tratta di un problema comune a tutta la nostra struttura pubblica: si pensa che il dirigente debba essere uno specialista del proprio settore (nella sanità chirurgia, pneunomologia etc.) e non uno specialista nel mettere insieme varie competenze e varie risorse.
In Francia la sanità è gestita da laureati (generalmente in scienze politiche) che, dopo la laurea magistrale, devono seguire i corsi della Ecole Nationale de la Santé (che dura 4 anni!). Da noi si è percepito che il medico puro non è in grado di farsi carico dei problemi di gestione ma, non sapendo traguardare il bisogno di una competenza manageriale, si è costituito il “primario di nomina politica”!
Prima o poi il problema della formazione della dirigenza sanitaria andrà affrontato. Nell’affrontarlo dovremo distinguere tra la formazione del dirigente di struttura (hospital management) e il dirigente del sistema (health management). Tante incertezze nell’affrontare il covid19 sono riconducibili a queste carenze. Carenze che hanno un riscontro strutturale: nelle nostre ASL si fa una grande confusione tra sistema/territorio e ospedale. E questa è una ulteriore problematica che va affrontata.
Vi è inoltre una ulteriore problematica che va affrontata: quella dei processi. Le nostre strutture sanitarie mancano totalmente di processi e si basano esclusivamente sul meccanismo gerarchico. Per farla breve, le macchine organizzative possono essere coordinate in due modi:
1) dare potere ad una catena gerarchica e/o 2) stabilire in norme dettagliate cosa deve essere fatto, quando, come e da chi. Questo secondo metodo è quello che si considera il metodo dei processi. Oggi la complessità tecnica delle varie situazioni da affrontare richiede sempre più l’utilizzo di modalità basate sui processi. Ma i processi sono assenti nelle nostre organizzazioni, sopra tutto sono completamente ignorati nella macchina organizzativa pubblica e segnatamente nella sanità. La sanità della Regione Toscana nel 2015 è stata riformata, riducendo il numero delle Asl che sono passate da 10 a 3. L’auspicio era quello di ridurre i costi manageriali. Sono anche stati concentrati a livello regionale tutti gli acquisti. Lungi dall’aver realizzato dei risparmi (al di là delle dichiarazioni propagandistiche dell’amministrazione regionale) la riforma sta portando al collasso la sanità toscana. Di fatto paralizzate sono le attività di controllo del territorio, una volta riconducibili all’igiene pubblica!
La causa di questo collasso è molto semplice: nella sanità toscana non esistono processi. Se si va a chiedere ai vari dirigenti della sanità toscana di mostrare la documentazione dei vari processi, questi dirigenti cadono dalle nuvole. L’unica cosa che sanno esibire è una serie di materiali relative ai corsi che hanno dovuto frequentare sull’organizzazione per processi. La riduzione dei vertici gerarchici è possibile se si strutturano le azioni organizzative, riducendo la necessità di interventi della macchina gerarchica sui singoli casi. L’azione della catena gerarchica va concentrata nelle definizione ex ante dei corsi d’azione da seguire nella individuazione dei sistemi di controllo e nella creazione di un sistema di compliance.
Una seria organizzazione per processi ridurrebbe i problemi di igiene e ridurrebbe i rischi di diffusione delle malattie per contagio. In molti dei nostri ospedali (tra cui quelli toscani) si arriva al punto di richiedere a chi si deve ricoverare per essere sottoposto ad interventi chirurgici di portarsi le stoviglie da casa. Cosa impensabile dove esistono sistemi di controllo dell’igiene degni. Di quanto si ridurrebbe l’allarme sociale creato dal covid19 se la nostra sanità disponesse di processi? Anziché prendere provvedimenti draconiani, nel nordEuropa il covid19 è contrastato accentuando le attività di auditing sulla compliance dei processi.