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Petrolio, meno domanda e crollo dei prezzi. Ecco l’impatto del Covid-19

La domanda di greggio dovrebbe scendere di 10,5 milioni di barili al giorno a marzo, ancora di più ad aprile: lo dice un paper Goldman Sachs. I raffinatori di tutto il mondo hanno ridotto le operazioni poiché la diffusione del coronavirus ha portato a forti cali della domanda per aviazione e carburante. Si tratta di una ricognizione sulle mosse dei maggiori players, anche alla luce delle strategie di Arabia Saudita, Iran e Russia, con Teheran che flirta sempre di più con Pechino anche in occasione delle accuse strampalate agli Usa sul Covid.

DOMANDA CALANTE

Secondo la banca di investimenti “uno shock della domanda di questa portata travolgerà qualsiasi risposta all’offerta, compresa qualsiasi potenziale organizzazione principale dei Paesi esportatori di petrolio che congeli o tagli la produzione”. Ragion per cui, si sostiene che l’entità del collasso della domanda richiederà che una grande quantità di produzione dovrà essere interrotta perché un tale colpo alla produzione non verrebbe probabilmente attutito rapidamente. Inoltre Goldman Sachs prevede un ulteriore brusco calo dei prezzi del petrolio nelle prossime settimane.

Due giorni fa Chevron Corp ha tagliato il budget di spesa di 4 miliardi di dollari, anticipando un’ondata di annunci diretta alla riduzione dei costi in tutto il settore petrolifero e del gas. I prezzi del greggio sono crollati del 60% da gennaio, quando l’Arabia Saudita e la Russia hanno pompato a pieno ritmo. Si prevede che la domanda in tutto il mondo diminuirà di oltre 12 milioni di barili al giorno, oltre il 10% della domanda giornaliera.

IRAN

Inoltre giorni fa l’Arabia Saudita ha respinto almeno tre richieste di raffinerie asiatiche (una coreana, una taiwanese e una cinese) per un ulteriore greggio per aprile, oltre alle loro offerte di fornitura a lungo termine. Al contempo l’Iran punta ad aumentare la capacità dei suoi campi nel West Karoun e dagli enormi campi che condivide con l’Iraq. Questa strategia consente in primo luogo di generare reddito anche in un ambiente petrolifero a basso prezzo.

Ma cosa si aspetta Teheran da questa strategia? Verosimilmente di mettere in difficoltà l’Arabia Saudita, che potrebbe avere difficoltà a soddisfare i dati sull’offerta che ha assicurato ai potenziali acquirenti, in particolare in Oriente. La partita è complessa e articolata, anche per via dei dati di riferimento: in Russia i combustibili fossili e le esportazioni di energia rappresentano il 64% delle esportazioni totali. Il settore copre il 46% della spesa pubblica totale e contribuisce per circa il 30% al Pil. In Arabia Saudita il settore rappresenta circa l’85% delle entrate del regno, il 90% delle entrate delle esportazioni e il 42% del Pil.

PONTE

L’Iran potrebbe puntare a rafforzare la parnership con Cina e Russia per avere un ruolo centrale, una volta che nel mercato globale del petrolio si sarà insediato un nuovo equilibrio, magari coinvolgendo i massimi players russi di proprietà statale come Rosneft e Gazprom nei suoi giacimenti-chiave. Il riferimento è a quello di Darquain, situato a 100 chilometri dalla città ricca di petrolio di Ahvaz, nella provincia del Khuzestan. Con una stima di almeno cinque miliardi di barili di petrolio, il campo è stato inizialmente sviluppato dall’Eni nel 2001, insieme al partner locale Naftiran Intertrade.

Inoltre prima della conferma americana delle sanzioni russe del 2018, il contratto per Darquain era rientrato in una operazione “strategica” concordaa dall’Iran con la Russia durante la visita del presidente Vladimir Putin a Teheran nel novembre 2017.

PECHINO-TEHERAN

Il ruolo dell’Iran è in questo momento strutturato sulla consapevolezza di voler diventare il principale hub in Medio Oriente al netto del meccanismo sanzionatorio statunitense e ovviamente al netto delle conseguenze del Covid. Per cui intende aumentare la sua produzione di gas, in particolare dal campo di South Pars, e di petrolio, ovvero in quei siti dove ci sono bacini idrici condivisi con l’Iraq per operare al di fuori delle sanzioni, con la presenza in loco di aziende russe e cinesi. Ma la Cina punta anche a “usare” il business del greggio per dare fiato a quelle latitudini al suo progetto della Belt and Road Initiative.

Un’alleanza energetica, quella tra Pechino e Teheran, che si ritrova anche nelle accuse che Cina e Iran all’unisono rivolgono agli Stati Uniti rei, a loro dire, di aver avviato la pandemia di coronavirus. I media statali iraniani, forse ispirandosi a quelli cinesi, stanno foraggiando una campagna diretta a far credere che gli Stati Uniti abbiano portato il virus in Cina.

twitter@FDepalo

 

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