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Covid-19. L’occasione per un nuovo modello di Pubblica amministrazione

L’emergenza da Covid-19 è, evidentemente, tante cose insieme. Lutti, stress test di tenuta per il sistema istituzionale, produttivo, relazionale, familiare, e poi lezioni esperienziali da imparare, e ancora sforzo ideativo, e infine spinta creatrice di soluzioni innovative.

Emergenza virus è, quindi, anche cambiamento, che in parte sarà necessariamente reversibile (con recupero di gran parte delle abitudini e degli stili di vita precedenti, di certo con maggiore consapevolezza di prima), in parte probabilmente no.

Nell’ambito di quella parte di cambiamento andata forzosamente a regime in questi giorni e che probabilmente farà più resistenza al ritorno al modello precedente, mi sento di inserire le dinamiche che stanno investendo la Pubblica amministrazione.

Perché? Perché seppure fra mille difficoltà, la Pa – dopo essere stata dapprima costretta a inventarsi in poche ore un modo del tutto nuovo, per lei, di funzionare – si sta accorgendo, con il passare dei giorni, che riesce a funzionare anche operando secondo paradigmi applicativi del tutto nuovi. Che, cioé, la Pa digitalizzata non è semplicemente un’astrazione, o uno slogan retorico da spendere in pensosi dibattiti e convegni, con lo sguardo rivolto al futuro (magari vicino, ma pur sempre futuro), ma è e può essere realtà concreta già oggi. Nelle prime ore di applicazione delle misure decise dal governo, non tutto è stato semplice, ma da giorni un po’ dappertutto l’operatività della Pa in effetti prosegue, con le soluzioni rese possibile dalla tecnologia: dalle videoconferenze allo smart working.

Già, lo smart working. È chiaro che il passaggio massiccio del personale degli uffici pubblici allo smart working (e la constatazione che questo modo di lavorare è in effetti possibile e non autorizza, secondo gli stereotipi di una certa cultura burocratica italica, pregiudizi di sapore millenaristico) avrà l’effetto di tirare, ruvidamente, una riga sugli ultimi 8 anni che il Paese ha trascorso, e mal impiegato, a normare e rinormare la fattispecie dei cd furbetti del cartellino (quelli degli imbrogli al tornello di ingresso, per intenderci). Smart working significa “lavora dove ti pare, ma con attenzione tutta focalizzata al risultato finale”. Questo cambierà completamente (anche per gli ingenti risparmi che, intuitivamente, il lavorare in gruppo da remoto può assicurare) l’idea stessa di azione amministrativa (il cui centro gravitazionale diverrà finalmente, per davvero, il “risultato”). La deformalizzerà sensibilmente e la sburocratizzerà fortemente. E in via definitiva. Di riflesso, questo passaggio cambierà per sempre anche l’idea di dirigente pubblico, ricostruendone la figura dentro uno schema tutto funzionale, polarizzato sul raggiungimento di obiettivi gestendo risorse, prendendo decisioni e firmando atti.

Avremo, quale ulteriore conseguenza, ancor più necessità di un sistema che non lo spaventi (il tema è quello della “paura della firma”) dal prendersi la responsabilità di gestire, di decidere o di firmare (anche su quei 25 miliardi di spesa pubblica che stanno per arrivare, tutti insieme, come risposta del governo all’emergenza in corso), ma gli offra piuttosto rimedi per verificare in contraddittorio, se e quando ve ne siano i presupposti (e a sua iniziativa), le penalizzazioni sulla parte variabile del trattamento economico che l’amministrazione ritenesse di applicargli in nome di un asserito mancato raggiungimento, in tutto o in parte, degli obiettivi programmati. Del resto, l’esperienza empirica ha evidenziato casi, per vero non rarissimi, in cui al dirigente si chiedeva la luna mettendo a disposizione mezzi e risorse congrue, a malapena, per la minima autosufficienza. Con simili schemi di gioco, non si va lontano. Anzi, non si va da nessuna parte.

Rilancio del Paese, occorre esserne consapevoli, non si potrà fare – specie mettendo al centro di tutto, definitivamente, il “risultato” – senza la miglior parte della dirigenza pubblica, a garanzia della quale occorre fare lo sforzo di ideare adeguati sistemi di tutela della meritocrazia.

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