Già affrontare un tema come l’epidemia in corso in rapporto al campionato di calcio, mi sembra demenziale. Quando poi si demanda la questione alla Lega in nome dell’ancora più demenziale “autonomia” dello sport, credo che il virus oltre ad aver attaccato i polmoni di taluni, abbia leso anche residua materia grigia che è rimasta nella testa dei “signori del calcio”.
Ma che cosa c’entra la tribù calcistica dei presidenti con la salute pubblica? A parte il fatto che abbiamo tutto il diritto di dubitare sulle loro capacità nel merito delle decisioni che dovranno assumere in ordine alla disputa delle partite, ma chi sono costoro che con le loro alzate d’ingegno devono tenere in apprensione milioni di italiani avendo di vista la regolarità del campionato?
No, non ci siamo. La decisione di giocare o non giocare, a porte chiuse o a porte aperte, di rinviare o sfidare la sorte non è questione sulla quale possono scazzare le società calcistiche che non godono di integerrima fama, visto che per molto meno se le danno (metaforicamente e finanziariamente) di santa ragione tutti i santissimi giorni.
Il problema è talmente serio che paradossalmente vien da ridere immaginando i litigiosissimi presidenti assumere decisioni che possono pregiudicare la salute dei tifosi.
Non prendiamoci in giro: il problema è tutto del governo. E se non se la sente di assumersi la responsabilità di decidere univocamente e senza tentennamenti nel merito, ha il dovere di interpellare quanto meno il Parlamento per ricavare (si spera) un qualche orientamento.
Insomma, una volta c’era il ministro dello Sport, non sappiamo che fine abbia fatto: aveva un senso, pur non interferendo nelle questioni eminentemente societarie dei club. Adesso di chi dovremmo fidarci, di scalmanati ai quali stanno a cuore soltanto le pulsioni delle tifoserie e i diritti televisivi?
Il presidente del Consiglio dovrebbe convocare il “governo del calcio” e, dopo aver consultato gli esperti (vale a dire medici, virologi , biologi, scienziati, prefetti) comunicare ai suoi interlocutori che o si va avanti regolarmente (e a prima vista mi sembra una boiata pazzesca) o si sospende tutto il campionato per il tempo ritenuto necessario.
Non c’è alternativa. O meglio l’alternativa è quella di accettare un torneo oggettivamente falsato, incerto, se non si assumono drastici provvedimenti che garantiscano uno svolgimento corretto e sicuro dei tempi delle partite.
Sappiamo bene che lo stravolgimento delle competizioni internazionali, e per di più del Campionato Europeo che si disputerà a giugno in tutto il Continente, partendo proprio da Roma, è inevitabile. Ma dal momento che il coronavirus non è una questione che attiene soltanto all’Italia, si coinvolgano l’Uefa e la Fifa per spostare, se del caso, tutto il caravanserraglio calcistico a tempi migliori.
Non è immaginabile che la questione nodale in queste ore sia la disputa del cosiddetto derby d’Italia, vale a dire Juve-Inter (sembra si sia deciso per il 9 marzo) o se il Napoli possa acconsentire a giocare con i nerazzurri al San Paolo a porte chiuse giovedì prossimo il match di ritorno della semifinale di Coppa Italia.
Quisquilie e pinzillacchere, avrebbe detto il grande Totò.
Torniamo alle cose serie, se ci riusciamo, mentre il panico disgraziatamente dilaga, i disagi si fanno sentire, i morti si contano e giorno dopo giorno aumenta il numero dei contagiati.
E si dica chiaro e tondo che il campionato è sospeso fino a quando non si ristabiliranno oggettive condizioni in tutto il Paese perché il pubblico non corra rischi. Il torneo a singhiozzo, con squadre che possono accumulare anche tre o quattro giornate di ritardo (e quando le recuperano?), è indecente soltanto immaginarlo.
La parola al governo. Speriamo. E che scienza e coscienza operino senza lasciarsi condizionare dal furore popolare e dai bizantinismi di presidenti vanesi.