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Otto attentati in un anno. Così la relazione dei Servizi spiega rischi e prevenzione

Le emergenze sono tante, ma qualcuno ricorda che l’anno scorso in Europa ci sono stati otto attentati terroristici con un bilancio complessivo di 10 morti e 29 feriti? Due in Norvegia (Oslo), quattro in Francia (Condé sur Sarthe, Lione, Le Havre e Parigi), uno in Olanda (Utrecht) e uno in Inghilterra (Londra), contro civili e forze dell’ordine, con coltelli o armi da fuoco. Un fenomeno “largamente carsico”, lo definisce la relazione annuale dell’intelligence al Parlamento, che a maggior ragione impegna costantemente le agenzie Aise e Aisi con le strutture antiterrorismo delle forze dell’ordine.

Ciò che a malapena finisce sui giornali è la prevenzione che evita altri attacchi. Nel luglio scorso, per esempio, in Francia furono arrestate tre persone che stavano programmando un attentato con altri tre estremisti, tra cui un foreign fighter, dopo essersi conosciuti in prigione: episodio che dimostra la possibile recidiva e rilancia il grande tema della deradicalizzazione. Nella relazione si sottolinea dunque la necessità di tenere sotto controllo i terroristi noti insieme con quelli appena reclutati. A ottobre, in due diverse zone francesi, una cellula fu smantellata con alcuni arresti tra cui un altro combattente di ritorno tunisino, rientrato dalla Siria nel 2017, e sua moglie franco-tunisina entrata clandestinamente in Italia e poi passata in Francia. E ancora: in dicembre un’operazione tra Spagna e Marocco con quattro arresti, tra cui un foreign fighter, appartenenti a una cellula che stava programmando attentati per vendicare la morte di Abu Bakr al Baghdadi, avvenuta a ottobre.

Il web ha sempre più un ruolo determinante. È il jihad digitale che alimenta proselitismo e favorisce la radicalizzazione. Anche se in minore quantità rispetto al passato, i Servizi hanno ricevuto segnalazioni da colleghi stranieri sia sul possibile invio di “operativi” da parte dell’Isis sia sull’attivazione di cellule “dormienti” presenti in Europa. L’attenzione è massima e si tiene sott’occhio la lista dei foreign fighter “italiani” che la relazione aggiorna a 144 rispetto ai 138 del 2018, anche se alla fine dello scorso anno si parlava di 148 a dimostrazione che non è semplice un’esatta identificazione. All’epoca si contavano 49 morti, 22 rientrati in Europa (in carcere o attentamente monitorati), 4 prigionieri in Siria e Iraq e gli altri scomparsi, forse morti o fuggiti in altre zone.

La nazionalità degli estremisti in Italia in maggioranza è nordafricana (gli espulsi sono soprattutto tunisini e marocchini) con una parte di balcanici, stesse origini anche per chi naviga sul web diffondendo materiale jihadista, spesso in italiano o con sottotitoli nella nostra lingua. Si aggiungono italiani convertiti e tutti sono accomunati dall’odio verso il nostro Paese e spesso da collegamenti mantenuti con gli espulsi. Nell’aprile 2019 un 25enne italiano convertito al salafismo e un 18enne marocchino furono arrestati a Novara; un pluripregiudicato catanese convertitosi in carcere fu invece raggiunto da un’ordinanza di custodia in carcere per attività di proselitismo e il monitoraggio del Dap sugli estremisti in cella è fondamentale. Massima attenzione sui flussi migratori anche per l’aumento degli sbarchi autonomi in partenza dalla Libia e non solo, dalla Tunisia e dalle coste turche e greche: l’intelligence sta monitorando possibili collegamenti tra cellule jihadiste della Tripolitania occidentale e i trafficanti di esseri umani che gestiscono l’area di Zuwara da dove partono in molti verso l’Italia, ma nella relazione al Parlamento si precisa che “non sono state rilevate evidenze circa l’utilizzo strutturale dei canali migratori clandestini per l’invio di jihadisti in Europa”.

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