Oggi la Cisl compie 70 anni dopo un intenso percorso di tutela e rappresentanza dei lavoratori. Domani saremo chiamati dalla festa del lavoro a riflettere sulle nuove sfide imposte dalla rivoluzione cognitiva e dalla depressione conseguente alla crisi pandemica.
Ci potrà aiutare, nell’analisi come nella proposta, la cultura di questa organizzazione che dalla nascita rifiuta la omologazione dei lavoratori in una indistinta classe votata al conflitto sociale, considera quale fine ultimo della sua azione il benessere di ciascuna persona nella sua originalità, ritiene l’impresa una comunità nella quale promuovere relazioni collaborative. La Cisl ha sempre difeso l’autonomia dei corpi sociali diffidando delle ingerenze del legislatore perché il contratto è per definizione flessibile, adattivo tra le parti, tanto quanto la legge è omologa, rigida e dipendente dai mutevoli equilibri politici. Per questa ragione si è opposta ad una regolazione legislativa del salario minimo e della rappresentatività sindacale che porterebbe le organizzazioni tutte nella dimensione pubblicistica. Sarebbe la vittoria postuma del corporativismo contro l’idea di società aperta che ha informato tutta la storia repubblicana dei corpi intermedi. Liberi e responsabili loro e gli accordi che reciprocamente stabiliscono.
Nel prossimo primo maggio ci si interrogherà sulle conseguenze occupazionali della combinazione tra rivoluzione tecnologica e recessione globale di origine pandemica. La faticosa ripresa vedrà probabilmente la morte di molte imprese marginali, la faticosa sopravvivenza in dimensione più contenuta di altre e la accelerazione diffusa dei processi di digitalizzazione con il risultato della scomparsa di molti posti di lavoro tradizionali. Si accentueranno quindi i problemi della transizione ad altre professionalità per molti lavoratori e l’esigenza di politiche attive che li accompagnino efficacemente.
Avevamo in Italia la buona pratica lombarda della “dote lavoro”, che consegnava al disoccupato la scelta del servizio cui rivolgersi, ma è stata fermata da una capziosa indagine europea sull’uso dei fondi relativi. Toccherebbe alle parti sociali difenderla e riproporla su scala nazionale per stimolare la competizione tra soggetti pubblici e privati in funzione del migliore accompagnamento al lavoro. Inoltre, è giunto davvero il momento di utilizzare con procedure semplificate le risorse del Fondo Sociale Europeo e dei fondi bilaterali per un piano nazionale di alfabetizzazione digitale. Soprattutto, le incertezze della faticosa ripartenza renderanno più necessarie alcune flessibilità regolatorie del lavoro che, tuttavia, difficilmente governo e Parlamento potranno garantire. La qual cosa renderà ancor più cogente l’esigenza di accordi aziendali e territoriali in deroga alle leggi e ai contratti nazionali per fare più occupazione sulla base di comprovate necessità.
La Cisl sarà certamente pronta ad apprezzarle e a condividere soluzioni pragmatiche. Gli imprenditori e le loro associazioni saranno pronte anche ad accordi “separati” ove inevitabili o preferiranno trarre motivo dalla indisponibilità di altri sindacati per ridurre l’occupazione? Ecco ritornare il dilemma già conosciuto in altre fasi critiche della nostra economia.