Nella Ue e con la Bce si discute degli “eurobond” del se e del come attuarli; Trump freme per riaprire tutto entro due settimane ed “evitare” il disastro economico; Macron medita una mossa unilaterale per spiazzare la Merkel; Conte promette un piano da 25 miliardi per il rilancio; Draghi abbozza un possibile piano per superare l’emergenza; Casini propone di istituire una task force per la ripresa…
Molte proposte ragionevoli (come quelle di Draghi, Casini e forse Macron), altre molto meno ragionevoli (si pensi a Trump che non ha capito molto come stanno le cose) tutte, però, sono troppo in anticipo.
Per formulare un piano occorre sapere quale sarà l’entità del disastro e come sarà distribuito. Ma per fare questo occorrerebbe un bilancio, se non definitivo, almeno approssimativo dell’epidemia, quello che ancora non possiamo fare perché non possiamo nemmeno ipotizzare quanto durerà, come si diffonderà, come si distribuirà, con quali effetti demografici, per non dire della possibilità di una seconda ondata, dopo qualche mese, come fu per la “Spagnola” .
Anzi: neanche sappiamo con esattezza quali sono i dati reali della pandemia perché abbiamo una montagna di informazioni, previsioni e stime fatte in modo disomogeneo e spesso poco scientifico, malfatte e peggio commentate. Sapete quanti sono i contagianti in Iran o Russia? Sino a che punto possiamo ritenere attendibili i dati cinesi? Come stabilire quando potrà esserci il picco in ciascun paese e, di conseguenza, nel mondo? Quanto tempo ci metteremo a produrre e distribuire un vaccino davvero efficace? Quale è la capacità mutagena del virus?
Oggi siamo in una situazione in cui il più sofisticato pronostico vale quanto una profezia di Frate Indovino… per cui.
La previsione più attendibile è che il disastro sarà peggiore delle peggiori previsioni: oggi un milione di morti ci sembra un dato sconvolgente ma possiamo escluderlo?
Di conseguenza non abbiamo la più pallida idea degli effetti prima finanziari e poi economici del disastro. Possiamo solo dire che non sarà una crisi decennale, ma probabilmente epocale e che attaccherà lo stesso sistema (sospetto che non si affaccia negli interventi dei nostri economisti, finanzieri e politici che stanno pensando a come riprendere esattamente come prima una volta passata la bufera).
Il che non significa che si debba aspettare la fine della tempesta restando placidamente con le mani in mano, sia perché ci sono urgenze della popolazione cui far fronte (non è mai successo che ci fossero due miliardi di persone consegnate a casa), sia perché, in qualche modo, possiamo allestire qualche ammortizzatore che attenui l’impatto al momento dell’hardlanding.
Per ora possiamo cercare di tamponare la falla. Va bene la misura dei “soldi dall’elicottero” ma a due condizioni: che vadano direttamente alle persone (e non ad enti, imprese, società ecc. che li trasformerebbero subito in investimenti finanziari) e che siamo inversamente proporzionali al reddito entro una soglia di 50.000 euro all’anno. Un sostegno particolare va effettuato a favore di precari e sottopagati che sono attualmente i più colpiti.
Poi occorre pensare subito alle imprese più fragili o che subiranno per prime i contraccolpi dell’epidemia. E dunque artigiani, bar, ristoranti, taxisti, alberghi, piccoli esercizi commerciali ecc. per i quali occorre prevedere la rateizzazione nei prossimi tre anni del pagamento delle tasse, dei mutui e dei fitti. Magari valutare una indennità una tantum per il mancato guadagno causato dal periodo di chiusura, in proporzione a quanto dichiarato fiscalmente nell’anno precedente.
Poi dopo vedremo come ripianare il disastro e forse il mondo si troverà in condizione di operare un “Piano Marshall” verso sé stesso. Ma il piano Marshall si studiò nel 1946, non nel 1942.