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Covid-19, ecco come (e dove) usare le risorse. Analisi di Bessi

Lo shock del Covid-19 ha provocato un contesto dove domanda e offerta vengono colpite simultaneamente e i diversi settori produttivi dovranno confrontarsi con la crisi economica. La reazione immediata deve essere quella di supportare l’economia reale con investimenti da parte del pubblico e del privato.

Le condizioni a contorno – in particolare le misure della Banca centrale europea che ha deciso un nuovo programma da 750 miliardi che si aggiunge al Quantitative easing già in corso di 240 miliardi e a quello deciso il 12 marzo di 120 miliardi aggiuntivi – sembrano supportare questo tipo di interventi rispetto alla crisi finanziaria del 2009 che fu affrontata con il rigore dei conti.

Inevitabile generare nuovo debito che prevede quest’anno un balzo a 155% del rapporto al Pil. Via obbligata quindi che il flusso delle risorse dovrà essere indirizzato verso i settori che ne hanno maggior bisogno e verso iniziative che preparino il Paese ad essere resiliente per i probabili futuri shock esogeni che, al momento attuale, appaiono essere quelli legati al clima. Sono necessarie due azioni generali per rilanciare l’economia:

a- Una definizione della scala delle priorità degli interventi finanziati dal settore pubblico.

b- Una serie di interventi per permettere al settore pubblico e privato di realizzare investimenti nel più breve tempo possibile.

Con riferimento alla priorità, ritengo che i fondi pubblici debbano essere destinati:

1- ai settori che non possono reperire finanziamenti privati in questa situazione di estrema incertezza.

2- ai settori che in modo diretto e indiretto contribuiscono in misura maggiore al Pil nazionale.

3- a quelle tipologie di investimento che abilitano la trasformazione dell’industria verso “industria 4.0” e che possano essere supportate da schemi di finanziamento Unione europea o rientrare tra agevolazioni di spesa.

4- alle tipologie di investimento che abilitano una trasformazione dell’industria verso la sostenibilità e la circolarità e che possano essere supportate da schemi di finanziamento Ue o rientrare tra agevolazioni di spesa Green new deal.

Con riferimento alla rapidità dell’azione del pubblico e del privato, il legislatore deve valutare (almeno temporaneamente) di sospendere l’applicazione di alcune regole e vincoli che ad oggi rallentano in modo importante le decisioni di investimento, tra cui alcuni dettami del codice degli appalti, alcune procedure dell’Anac o alcuni requisiti europei.

Serve, come viene ricordato da più parti, una risposta straordinaria, come per la ricostruzione del Ponte Morandi di Genova o come l’organizzazione per la ricostruzione post terremoto dell’Emilia-Romagna.

La portata e la straordinarietà dell’emergenza, ma dovrebbe essere anche nei tempi ordinari, chiede di avere i procedimenti burocratici in tempi certi (vero punto cruciale). L’emergenza porta la necessità di iniettare ‘velocemente’ nel sistema economico interventi anticiclici (investimenti) che possano rallentare la decrescita e impedire impatti permanenti sull’occupazione.

A riprova di quanto sopra, anche la Commissione europea ha definito un temporaneo rilassamento delle severe regole sugli aiuti di Stato che ne hanno contraddistinto l’azione, proprio per poter garantire ai Membri spazio d’azione più veloce. E definito nuove linee di credito come le misure della Banca Europea d’Investimento da 200 miliardi.

INFRASTRUTTURE DI RETE

Sono generalmente settori regolati ad avere un ritorno certo dell’investimento perché è maggiore facilità per operatori e finanziatori ad intraprendere investimenti privati anche in condizioni di incertezza come quelle attuali. Tutte le infrastrutture di rete dovranno comunque nei prossimi anni sostenere investimenti per la manutenzione straordinaria e l’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici.

In alcuni settori a rete gli operatori possono quindi anticipare tali investimenti – che rispondono anche alle logiche del Green new deal europeo e possono accedere alle risorse comunitarie che sono messe a disposizione da Ue – servono però alcune precondizioni:

o il quadro regolatorio deve essere chiaro, stabile e a supporto dei piani straordinari di investimento, o si debbono arrestare le derive di pubblicizzazione di alcune infrastrutture/servizi: sarebbe una scelta costosa per lo Stato e non è garanzia di migliori performance al cittadino, o valutare misure per favorire una politica di sistema verticale (modello coreano) che determini la crescita delle filiere Made in Italy di fornitori di beni e servizi per i settori strategici come energia, ambiente, Tlc, difesa, ecc. introducendo nelle gare d’appalto requisiti di qualità, di “affidabilità storica” e modalità “last call” nella valutazione delle offerte.

In determinati settori, ad esempio la cantieristica navale, i beni d’investimento di nuova costruzione costituiti da navi o galleggianti, necessari per l’esercizio di servizi pubblici in concessione dallo Stato italiano o dagli Enti locali territoriali ad imprese nazionali, ordinati successivamente alla ripresa post pandemia devono essere costruiti, o quantomeno assemblati e consegnati al committente, in cantieri situati in Italia (o situati in Paesi dell’Ue qualora la limitazione alla sola Italia sia incompatibile con le norme comunitarie).

O il nanismo industriale deve essere superato e deve essere incentivata la gestione efficiente da parte delle realtà economiche che sanno gestire i servizi in modo efficace ed industriale. Peraltro il modello antitrust comunitario e nazionale che fino ad oggi ha contribuito alla frammentazione dell’intera l’industria europea inizia ad essere riesaminato e messo in discussione a livello Ue.

(Prima parte di una analisi più ampia)

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