Papa Francesco proprio recentemente ha invitato i Paesi più sviluppati e soprattutto gli organismi internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, governi vari) a contribuire ad alleviare le sofferenze dei Paesi più poveri del pianeta, eliminando il fardello del debito estero.
Il tema è stato ripreso dal presidente francese Emmanuel Macron, che ha detto enfaticamente: “Dobbiamo aiutare i nostri vicini d’Africa sul piano economico cancellando in modo massiccio i loro debiti”. Macron, però, dopo pochi giorni come spesso gli accade, ha fatto marcia indietro, parlando di “moratoria” che significa solo sospensione e rinvio del rimborso.
Sta di fatto che la pandemia in corso ha ancor di più aggravato la situazione dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto di quelli africani che vedono scappare investitori, crollare i prezzi delle loro materie prime, dei prodotti agricoli – spesso monocolture – che producono, fuggire i turisti. Con tutte le società internazionali di consulenza che fanno previsioni nere per il futuro circa i grossi aumenti di disoccupazione e l’ulteriore ricorso di prestiti internazionali.
Per questo è tornato all’ordine del giorno il problema della moratoria e/o dell’azzeramento del debito che continua a pesare come un macigno sulle deboli economie di quei paesi che per onorare il pagamento ai creditori, (attualmente Stati e privati) sono costretti a risparmiare in settori nevralgici come la sanità, la scuola, il pubblico impiego.
Si tratta perciò innanzitutto di rivedere politiche sbagliate di rigore che, come abbiamo sperimentato anche noi e la Grecia in Europa, non portano allo sviluppo sociale ed alla crescita economica.
Vediamo perché. Secondo la Fao, nel mondo sono 820 milioni i cosiddetti grandi poveri (dei quali quasi 200 milioni bambini), quelli cioè che sopravvivono con meno di 2 dollari al giorno. Quello che è spaventoso è che dal 1990 questa situazione non è cambiata, nonostante i piani per “dimezzare la fame nel mondo”.
Il debito internazionale dei Paesi poveri costituisce perciò una sfida gigantesca per la sua dimensione e per la sua portata poiché riguarda il benessere di milioni di persone e di molti Paesi, di istituzioni finanziarie e di finanziatori privati.
Si pensi che attualmente tra i Paesi poveri, quelli molto indebitati presentano dei tassi di mortalità infantile, di malattia, di analfabetismo e di malnutrizione molto più elevati rispetto a quelli di altri paesi in via di sviluppo. Sei dei sette Paesi poveri più indebitati dell’Africa pagano interessi sui debiti superiori alla somma necessaria alla realizzazione di progetti fondamentali di lotta contro la malnutrizione, le malattie prevedibili, l’analfabetismo e la mortalità infantile. Se i governi investissero questo denaro in sviluppo umano piuttosto che nel pagamento dei soli interessi, o meglio, dei loro crediti, si stima che milioni di bambini potrebbero vivere oltre il quinto anno di età e si potrebbero evitare un milioni di casi di malnutrizione.
Per giunta la comunità finanziaria mondiale considera inaffidabile un paese pesantemente indebitato, e di conseguenza lo espelle di fatto dai mercati finanziari internazionali, oppure lo condanna a pagare più caro il denaro: almeno quattro volte di più di quanto pagano i paesi ricchi. La conseguenza è che il pagamento del debito si traduce per questi paesi in un’assenza d’infrastrutture (strade, scuole, ospedali), necessarie sia alla lotta contro la povertà sia alla creazione di condizioni atte ad avviare lo sviluppo, il quale, a sua volta, garantirebbe la restituzione del prestito ricevuto.
Invece le istituzioni finanziarie internazionali usano il loro ascendente per obbligare ad accettare politiche di stabilizzazione ed aggiustamento strutturale (Pas) di austerità che spesso hanno effetti disastrosi proprio per i poveri, sia nell’immediato che a lungo termine. Inoltre, nella maggior parte dei casi, le Pas aggiungendosi agli effetti della concorrenza globale fanno diminuire i salari dei lavoratori e peggiorare le loro condizioni di lavoro, fino a creare dei veri e propri “laboratori di schiavi”. Le donne e i bambini, principale mano d’opera di questi laboratori, sono i più toccati da questi salari da fame e dalle lunghe ore di lavoro effettuate nella completa assenza di norme igieniche e di sicurezza.
Le Pas, oltretutto, si fondano su teorie economiche considerate universali e che per questo sono spesso applicate in maniera uniforme. Può quindi capitare che l’applicazione delle Pas, in termini di calendario e di cronologia delle tappe, non tenga sufficientemente conto della cultura politica ed istituzionale di un paese e della sua capacità di assorbire gli aggiustamenti. I poteri pubblici sono allora costretti a scegliere quali settori della spesa pubblica tagliare e quali salvare.
Sfortunatamente, i poveri ed i più vulnerabili sono i meno adatti a difendersi in questa battaglia.
E così sono proprio queste politiche, che dovrebbero avviare lo sviluppo dei popoli più poveri, a renderli per sempre dipendenti e schiavi dei paesi più ricchi. Oltretutto violentandoli nella propria storia, nella propria cultura, nelle proprie tradizioni e sfigurandoli nella loro identità.
Alcune notizie sono tratte dal libro di Riccardo Pedrizzi, “Fede Economia e Sviluppo”