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Fitch ci ha fatto un favore. Il corsivo di Arditti

L’Italia dovrebbe mandare almeno una scatola dei suoi migliori cioccolatini a mr. Ian Linnel, presidente dell’agenzia Fitch Ratings che ci ha improvvisamente (la data prevista per loro pronunciamento era il 10 luglio) declassato al livello BBB-, penultima posizione in classifica prima dei titoli considerati poco raccomandabili.

Dovremmo farlo per alcuni buoni motivi che ora provo ad elencare ma dovremmo farlo innanzitutto per un motivo “di sistema” (e quindi politico) con cui cercherò di concludere il mio ragionamento.

I motivi di carattere più pratico sono essenzialmente tre. Il primo riguarda la natura stessa dei provvedimenti che un po’ in tutto il mondo si stanno mettendo in campo per fronteggiare la crisi da virus, provvedimenti che non possono sfuggire (poiché costano) alla regola ferrea che li qualifica come generatori (ancorché virtuosi) di debito pubblico.

Il concetto è semplice ma a molti pare sfuggire, soprattutto a quelli che favoleggiano di creazione di moneta sonante o immaginano altri strumenti magici, magari affidati a sapienti stregoni. Invece la generazione di nuovo debito pubblico è strada pressoché imprescindibile, come peraltro Mario Draghi ha chiarito nel suo lucido intervento sul Financial Times di poche settimane fa.

In secondo luogo la valutazione di Fitch (penalizzante per noi) ci ricorda che le nazioni del mondo non sono tutte uguali, che non tutte hanno lo stesso livello di debito pubblico, che non tutte hanno la stessa capacità di crescita dell’economia, che non godono tutte della stessa considerazione sui mercati internazionali: insomma l’agenzia chiarisce che il virus non avrà l’effetto di cancellare le differenze (ma semmai di amplificarle).

Infine c’è un tema tutto europeo, perché dopo la decisione di collocare più in basso nella classifica l’Italia si mettono ancora di più di fronte alle loro responsabilità la Bce (che in queste settimane ci sta egregiamente sostenendo), la Commissione Ue, l’Eurogruppo ed, infine, il tavolo dei capi di Governo, poiché è chiaro che le cose cominciano a farsi serie anche sui mercati dei titoli pubblici, quindi servono fatti e non comunicati stampa.

Detto ciò possiamo arrivare al nocciolo della questione, che in buona parte riguarda le attività che si svolgono all’interno dei nostri confini.

Con l’annuncio di Fitch (la più “piccola” delle grandi agenzie) si apre una stagione di valutazione che vedrà tra non molto pronunciarsi Moody’s: potremmo insomma dire che “la ricreazione è finita”.

Pur in presenza di un’emergenza sanitaria tutt’altro che terminata quindi, le grandi manovre sui mercati iniziano a farsi sentire ed occorre farsi trovare pronti.

L’Italia può sperare di cavarsela se gioca dentro la comunità internazionale facendo mosse credibili e di svolta.

Dobbiamo dimostrarci più seri che in passato, meglio capaci di usare per investimenti le risorse che ci vengono messe a disposizione, più sinceri nel mettere denaro su capitoli di scarsa resa elettorale (sanità, istruzione, cura del territorio, innovazione, ricerca), più costanti nel mantenere certa la rotta di navigazione.

Mes o non Mes, Fitch ci ha dato una micidiale scampanellata vicino alle orecchie, ricordandoci che non possiamo sperare che il mondo ci aiuti come atto di comprensione per il numero (alto) di morti che stiamo piangendo.

Il mondo dopo il virus sarà durissimo e, soprattutto nella prima fase, competitivo in modo spietato. Per reggere la sfida dobbiamo preparaci subito con un programma diverso da quelli un po’ tradizionali del nostro Paese.

E magari ricordarci anche che a fare troppo gli amici di russi e cinesi poi finisce che un’agenzia americana (indipendente ma non per questo marziana) ci molla uno scapaccione.

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