Incontriamo Caro Verdone, in video-intervista, sul balcone dalla sua casa a Monteverde (Roma), in occasione del quarantesimo anniversario della scomparsa di Alfred Hitchcock. “Per me lui è il cinema”, confida il regista romano, aggiungendo che tutti i suoi film sono dei capolavori di cura e attenzione al dettaglio.
Cosa ci ha lasciato secondo lei, il grande regista inglese, adottato da Hollywood, definito il “maestro della suspense”?
Cosa dire? Alfred Hitchcock è stato un autore di sublime eleganza e aristocrazia. Il suo racconto cinematografico è perfetto nella sceneggiatura, nella regia, nella scenografia, non c’è niente fuori posto nei suoi film, nulla sopra le righe. Ti incolla alla sedia con una suspense raffinata. Non ha bisogno di sangue e mezzucci da regista horror. Ancora oggi il suo costruire una storia è avvincente. Alfred Hitchcock è il cinema.
I suoi film preferiti?
Innanzitutto Il delitto perfetto. Vede, egli riesce a raccontare una storia in un interno, in una sorta di kammerspiel. Ma lo spettatore non si rende conto che siamo in uno spazio chiuso. È tutto così ben architettato, calibrato, la tensione crescente, attendi quello che succederà catturato dalle immagini, dalle parole, dall’azione dei personaggi, dal ragionamento del protagonista. E poi colui che deve uccidere la moglie, Anthony Dawson, è stato scelto da Hitchcock con una intuizione geniale, come sempre per tutti gli attori da lui diretti. Ha un volto lontano dall’assassino e per questo lo spettatore è più avvinto. Quando Hitchcock non muove la camera sono i personaggi a muoversi attraverso il corpo, la mimica, il dialogo, lo sguardo. Qui Grace Kelly è perfetta, anche in una scena d’azione, quando deve infilare le forbici, per legittima difesa, nella schiena del mancato assassino. E poi come conduce le indagini l’ispettore, stando quasi immobile. Per non parlare del protagonista, un magnifico Ray Milland. È il mio film preferito. Hitchcock è stato un grande direttore di attori. Il suo cinema, sia interni che in esterni, è ricco di movimenti, necessari e per questo intelligenti.
Egli sa usare, dunque, gli spazi piccoli come pochi?
Sicuramente, è un maestro, come Carl Th. Dreyer. E non è semplice coniugare suspense e spazi chiusi, senza scivolare nello splatter. Per saper tenere incollato lo spettatore alla sedia è necessario aver cura di tutto. Ripeto: scenografia, recitazione, sviluppo del racconto, a tal punto che lo spettatore dimentica dove siamo e vuole vedere come si risolve la tensione: Hitchcock, in questo suo modo di innescare la suspense e mantenerla alta sino alla soluzione, anche in una stanza, è unico al mondo.
Parliamo di altri film che ricorda come fondamentali nella filmografia di Hitchcock…
Sono quasi tutti dei capolavori, tranne qualcuno verso la fine della carriera… Forse c’è stata una flessione nella sua vena artistica. Ma a chi non succede? Dovrei rivedere Frenzy e Complotto di famiglia, li vidi quando uscirono. In ordine cronologico direi Psyco, con la famosa scena della doccia in cui viene assassinata Janet Leigh: è superba. L’hanno detto in tanti. Posso solo aggiungere che quella scena poteva naufragare nel cattivo gusto, e invece rimane, pur nella sua ferocia, con quella musica, i dettagli della bocca aperta, di una eleganza che solo la classe di Hitchcock poteva conferirle. La scelta di Anthony Perkins per la parte dello psicopatico Norman è azzeccatissima. Hitchcock lo dirige come se fosse proprio un malato: Perkins passa dal sorridere al discorso aggressivo per poi torna a sorridere innocentemente, nel giro di pochi secondi, e il suo volto segue questo cambio d’umore mirabilmente. Anche Gli uccelli, mi colpì molto. È diverso, qui siamo nella paura, per tutto il film, ma anche in quest’opera Hitchcock dirige il tutto in maniera ineccepibile. Certo, con tutti quei volatili, dovette ricorrere a dei trucchi e alla post-produzione, ma il racconto è di una tensione magistrale.
Potremmo leggere Gli uccelli come un film attuale: la natura che ribella all’uomo…
Non ci avevo pensato, ma sì, questa sua lettura potrebbe essere accettata. È un film ancora attuale.
E di Vertigo (La donna che visse due volte) cosa ci dice?
Lo stavo aggiungendo. Ovviamente anche Vertigo è un capolavoro. Lo definirei con due parole: sinistro ed elegante. Come Hitchcock ci fa conoscere San Francisco, nessuno lo ha saputo fare.
Quale l’insegnamento di Alfred Hitchcock, dal punto di vista artistico ed etico?
Innanzitutto un amore per il cinema, come arte totale, magistrale sinfonia di molti elementi, come pochi autori hanno saputo fare. Per me, ripeto, egli è il cinema. Attraverso le sue storie, tutte tratte dalla narrativa, ha mostrato amore e rispetto anche per la letteratura. Dal punto di vista etico, uno dei suoi temi, quello dell’innocente perseguitato e poi scagionato, infonde fiducia nello spettatore. Dà sicurezza e ci aiuta a vincere i nostri momenti difficili. Insomma, un cinema come crescita psicologica, etica e di conseguenza culturale. Altrimenti François Truffaut non gli avrebbe dedicato un libro (edito nel 1962, ndr). Ricordiamoci che Hitchcock proveniva da una modesta famiglia, i genitori erano fruttivendoli. Ma il padre amava il teatro, e così la domenica, con l’abito della domenica, tutti e tre, padre, madre e figlio, frequentavano i teatri londinesi. Sicuramente questo recarsi a teatro ha sviluppato nel giovane Hitchcock l’amore per lo spettacolo. Poi frequentò le scuole dai gesuiti… La formazione nell’infanzia e nell’adolescenza è decisiva.