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Jp Morgan, Wells Fargo, Bank of America, Citigroup. È corsa all’oro (nero)

Nonostante l’accordo raggiunto sul taglio alla produzione di petrolio tra l’Opec – il principale cartello dei Paesi produttori di greggio – e la Russia, sancito dalla telefonata congiunta avuta nelle scorse ore tra il presidente americano, Donald Trump, il presidente russo, Vladimir Putin e il principe saudita, bin Salman, la situazione dell’industria petrolifera americana continua ad essere critica.

Secondo quanto riferito dalla agenzia Reuters, le principali banche americane si apprestano a mettere un piede diretto nell’azionariato delle società attive nel settore estrattivo di petrolio e gas. Una mossa che non avveniva dagli anni Ottanta e serve a stabilizzare l’industria ed evitare che le stesse banche, molto esposte sul versante del credito al settore, si ritrovino davanti ad una catena insostenibile di fallimenti.

Tra quelle che stanno lavorando più alacremente ci sono Jp Morgan, Wells Fargo, Bank of America, Citigroup, che sono in procinto di costituire veicoli indipendenti per acquisire asset energetici. Nonostante le aspettative legate all’accordo tra l’Opec e la Russia possa portare ad un allentamento della pressione al ribasso sui prezzi del greggio, nessuno ritiene che questo beneficio possa compensare un calo della domanda di greggio che, a causa della pandemia, è stato del 30 per cento da inizio anno combinato ad un crollo del prezzo del barile di quasi il 60 per cento. Le compagnie americane che lavorano nei giacimenti di shale gas e tight oil (gas e olio di scisto) del Texas e nelle altre zone estrattive degli Stati Uniti sono particolarmente indebitate (lo stock di debiti del settore nazionale secondo i dati di S&P Global Platts ammonta a circa 200 miliardi di dollari) e per la complessità delle attività estrattive hanno mediamente costi operativi che viaggiano sui 60 dollari al barile. Più il prezzo del greggio scende vorticosamente, più le prospettive di rimborsare i debiti contratti con le banche si allontanano. Un motivo in più per i giganti finanziari di Wall Street per intervenire.

La scorsa settimana, la Whiting Petroleum, una delle compagnie pioniere dello shale gas, ha presentato istanza di fallimento ai sensi del chapter 11. Altre, tra cui il colosso del fracking Chesapeake Energy, hanno già assunto specialisti finanziari esperti nella ristrutturazione del debito. Le banche americane non intervengono in equity in maniera così importante dalla crisi petrolifera del 1979 che mise in ginocchio alcune delle più grandi compagnie energetiche Usa e impose l’ingresso temporaneo in realtà come la Chevron. Oggi le diposizioni della Fed, dopo la recessione del 2008, rendono l’ingresso di soggetti bancari nel capitale di società attive nei settori primari come quello energetico più complesso, ma la volontà della amministrazione Trump è quella di fare tutto il possibile per intervenire e stabilizzare un settore cruciale nella dottrina trumpista della dominanza energetica globale.

L’appello di tutti i Paesi presenti al G20 dell’energia è quello di fare presto. “Chiediamo a tutte le nazioni di utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per contribuire a ridurre il surplus”, ha dichiarato il segretario statunitense per l’energia Dan Brouillette ai colloqui del G20.  Ma c’è chi come la Russia sta utilizzando l’attuale crisi per porre fine all’attuale assetto internazionale legato al mercato petrolifero. È chiaro – questa la posizione del Cremlino – che la tempesta del cheap oil è anche legata all’incapacità dell’Opec di prendere decisioni efficaci e durature. La soluzione? Ne ha parlato in queste ore il ministro dell’Energia russo, Aleksander Novak, secondo cui i Paesi del G20 devono sviluppare un meccanismo che consenta di monitorare costantemente gli sviluppi nel mercato petrolifero, e che sia in grado di garantire una risposta adeguata in presenza di squilibri. “Bisogna sviluppare un meccanismo che garantisca un adeguato monitoraggio del mercato e una risposta rapida a fronte di scompensi: tutti i paesi interessati dovrebbero essere coinvolti in questo processo”, ha detto il rappresentante russo.

Che dire, si tratta di una proposta non nuova, ma che potrebbe in questo scenario di transizione portare presto alla nascita di un nuovo ordine energetico globale.



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