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Mario Carli, la riscoperta di uno scrittore critico dello “snobismo” del regime

Mario Carli (1888-1935), giornalista, scrittore, agitatore, combattente, futurista, ardito e fascista, ingiustamente dimenticato, è uno degli intellettuali più affascinanti ed intriganti del primo Novecento. Grazie alla riscoperta di un considerevole numero delle sue opere si può dire che sta riscuotendo un interesse insospettabile fino a pochi anni fa.

Fu con Mussolini, con D’Annunzio e con Marinetti. Coltivò la letteratura con la stessa passione con cui amò visceralmente la rivoluzione nazionale quale compimento della guerra. Diresse  giornali e fu persino diplomatico in Brasile e in Grecia. Animò il dibattito intellettuale nel fascismo facendosi molti “nemici”, ma raccogliendo altrettante simpatie per il suo anticonformismo che gli diede fama e successo di cui non godé a lungo, spegnendosi a soli quarantasette anni. Il quotidiano “L’Impero” fu quello a cui legò il suo nome. E sulle pagine di questo “eretico” giornale, fastidioso per le gerarchie, ma “protetto” da Mussolini, sviluppò dibattiti di grande presa sull’opinione pubblica più colta. Originale e brillante s’ingegnò, tra le sue polemiche giornalistiche, nel dare vita ad una critica serrata al conformismo dell’epoca, sfidando convenzioni e mode consolidate allo scopo di ribadire uno “spirito italiano” che contrastava con lo snobismo delle classi altolocate della società fascista imperversante nella mondanità romana, soprattutto, il cui nume tutelare era Galeazzo Ciano, il “genero del regime”. Nessuno lesse aperte critiche al potente marito di Edda, prediletta figlia del Duce, ma al mondo che veniva incarnato da chi subiva il fascino di un certo “pensiero unico”, diremmo oggi, profondamente anti-italiano nei caratteri e nello stile che i comportamenti che ispirava esprimevano.

Fu così che tra l’autunno del 1927 e la primavera del 1928, sulle colonne dell’Impero e di Brillante ingaggiò una vera e propria “guerra” contro lo snobismo che toccò lo zenit al tempo della campagna sulla “mondanità dell’epoca fascista”. Un evento di non poco conto che sfociò più volte in sfide, duelli, scandali e proteste. Un “caso” insomma, giornalistico e politico, ma anche sociale che coinvolse ambienti di rango del regime e sfiorò lo stesso capo del governo.

malgieri 1Gli articoli di quella straordinaria, per molti versi, stagione politico-giornalistica, vennero raccolti nel volume Antisnobismo nel 1929, ora riproposto dalla neonata e raffinatissima casa editrice Aspis (pp.167, € 22,00), curato da Claudio Siniscalchi che vi ha premesso una illuminante prefazione d’inquadramento di Carli definito, in modo non scontato, “rivoluzionario conservatore”. E che lo fosse in molti potranno contestarlo, ma conoscendone l’indole, il pensiero e l’opera la definizione non dovrebbe sorprendere. Ed è proprio Antisnobismo a testimoniarlo eloquentemente con le sue “frustate”, come le chiama Siniscalchi, indirizzate contro la modernità della quale lo snobismo dell’epoca si nutriva voracemente. E “contagiava” soprattutto la borghesia più o meno “pescecanesca” nutrita di luoghi comuni, di frasi fatte, di stereotipi abusati, di di pensieri rifatti.

È così che la polemica s’insinua nella iconografia dei parvenu del regime in maniera sprezzante e perfino, talvolta, violenta, denunciando lo storpiamento della lingua italiana, l’esterofilia dominante in taluni circoli, l’uso smodato dell’inglese e  del francese, perfino l’adozione di parole straniere come insegne di alberghi e negozi, quasi che l’italiano fosse una lingua di pezzenti. A seguire nulla risparmia all’americanismo più volgare che strapazza modi e costumi della buona società e s’insinua anche nel modo di fare e nei gusti della piccola borghesia innamorata di tutto ciò che viene d’Oltreatlantico. “Non ha la gravità di una invasione a mano armata, ma è tuttavia assai pericolosa e bisogna fermare l’attenzione sul preoccupante fenomeno”, scrive Carli, per il quale “l’americanismo è una specie di colera simpatico che noi lasciamo passare sulla nostra terra, ma con tutto l’impegno rimanderemo poi al suo paese d’origine, ringraziando della visita che non è stata priva di utili insegnamenti”.

Ma non finisce qui. La polemica contro il femminismo, o la “femminilizzazione” del maschio è addirittura strepitosa. Leggiamo: “Bisogna liberare la mondanità da due influenze: l’influenza parigina, e quella femminile. Liberarsi di Parigi e divertirsi all’italiana: ecco tutto un programma. Quant’a quella femminile – adorabile sotto altri aspetti ! – intendo dire che, poiché sono le donne a dominare, esse modellano a propria immagine e somiglianza tutto ciò che ha contatto con loro: pienamente dominati, i loro uomini si riducono a quei perfetti molluschi rifiniti e scremati che formano la delizia alla moda”. Sembra impossibile che sia stato scritto novant’anni fa… è roba di oggi, cronache dei nostri giorni, valutazioni che cogliamo nelle pagine patinate di riviste femminili e non solo.

C’è tutto da italianizzare, dice Carli. Perfino il moralismo, passando per l’abrogazione del “musonismo”, di quell’aria tetra che in taluni ambienti è così glamour: “Lo sbadiglio è sempre un pericoloso nemico: bisogna metterlo in fuga”. Insieme con l’esterofilia, le “buone maniere” anglosassoni e parigine, l’imborghesimento di certa aristocrazia e molto altro ancora. C’è bisogno di “italianizzare”, insomma. Di riconoscerci per quello che siamo. Di abbandonare il pensiero dominante intriso di conformisti richiami a quanto avviene lontano da noi. “L’Italia fa da sé… Dobbiamo farci sempre più forti e sicuri della nostra religione e della nostra tradizione morale e artistica e, quando occorra, porre un riparo alle invadenti degenerazioni o falsificazioni morali, artistiche, fisiche degli stranieri”.

Si capisce allora perché, come ha intuito Claudio Siniscalchi, Mario Carli è un “rivoluzionario conservatore”?

malgieri 2Lo era anche prima che il suo manifesto “comportamentale, Antisnobismo appunto, agitasse la società italiana sul finire degli anni Venti. Lo era quando scriveva  romanzi bellissimi che dopo la seconda Guerra Mondiale nessuno più ha letto e poco c’intriga l’esegesi letteraria secondo i canoni  e gli stilemi di certa critica contemporanea, per dire che Il mio cuore tra i reticolati (AGA editrice , pp. 162, € 14,00) è un romanzo di guerra e d’amore, di passione civile e di erotismo vissuto tra cannoneggiamenti ed alcove, antesignano di certa letteratura d’avanguardia che molto più tardi si sarebbe affermata.

Lo era, forse ancora di più, nel romanzo Trillirì (AGA editrice, pp. 215, € 15,00) romanzo fiumano per antonomasia – dove le ragioni del cuore e le “tempeste d’acciaio” si fondono in un lirismo eroico che probabilmente sarebbe rimasto sepolto nella nostra memoria letteraria novecentesca se Claudia Salaris, nel suo pregevole Alla festa della rivoluzione non ne avesse parlato con questi accenti: “La letteratura e l’arte possono aiutare a capire meglio la storia, talvolta facendo penetrare nello spirito del tempo più di quanto non lo consentano gli strumenti puramente storiografici. Un romanzo come Trillirì di Carli offre elementi molto utili per comprendere la psicologia del fiumanesimo”.

Insomma, in un intreccio di verità e finzione, nel quale s’insinua l’autore con le sue esperienze dannunziane (Con d’Annunzio a Fiume, AGA editrice, pp. 190, € 15,00, è una “memoria” da leggere assolutamente se vuole penetrare nell’esperienza epica, morale, civile e culturale che l’avventura più fascinosa e contraddittoria del Novecento rappresentò), Trillirì dà voce alla gioventù eroica che si lasciò “calamitare” sull’altra sponda dell’Adriatico per sottrarre un pezzo d’Italia a chi se n’era indebitamente appropriato. E nello stesso tempo rivela l’accensione di un misticismo erotico incarnato da una giovanissima donna che non poteva non suscitare l’interesse del Comandante, mentre accanto a lei emerge un tipo d’uomo vitale e tutt’altro che corrotto dal vizio, anzi informato ad una sorta di spiritualismo attraverso il quale introduce la fanciulla ad una iniziatica scorribanda tra la vita e la morte nei cieli del Carnaro.

malgieri 3Rivoluzionario e conservatore Carli lo sarà con il “modernista” sui generis Marinetti, ma anche a Sansepolcro il 23 marzo 1919 quando ebbe l’onore, tra i pochi, di proclamare dalla tribuna che la “nuova Italia” era in cammino. Non aveva messo nel conto, come tutti del resto all’epoca, che qualcosa si sarebbe in tempi piuttosto brevi sfilacciato.

Negli anni di Antisnobismo, come si evince da Colloqui con i vivi (1928) , “Carli lamenta spesso, nei suoi interventi, orali e scritti, i limiti della penetrazione delle nuove idee di questa fase del fascismo, denota ancora una volta opportunismi residui e un rafforzamento del regime che sta ora andando in una direzione sempre più opposta al suo progetto iniziale”, come scrive Ada Fichera nel suo lucido ed essenziale profilo di Carli (Fergen, 2018). In effetti egli  “guarda, con malinconia e con delusione, i tempi dell’ardito passato, ci appare così più come colui preso dalla ‘angoscia’ romantica e sensuale di Trillirì e dal desiderio verso una donna di ‘stringerle il cuore perdutamente’ piuttosto che come colui che senza risparmio, talvolta eccessivo e avanguardista, è capace di attivarsi da incendiario per una causa comunitaria e di rivolta”.

Le intuizioni politiche di Carli possono essere discusse e perfino rigettate, ma quel che di lui resta è lo slancio poetico che come narratore ha saputo volgere in una prosa accattivante e assolutamente “moderna”. Come polemista, le pagine di Antisnobismo ne fanno un nostro contemporaneo, acceso dalla passione di ridare un’anima all’Italia che la stava perdendo. Ed è per questo che il suo “ritorno” è da salutare come la “reinvenzione” di una letteratura finita nel dimenticatoio e per vie misteriose riapparsa per raccontarci soprattutto di Fiume e dell’amore. Che poi, per la generazione di Mario Carli, erano la stessa cosa. Una festa della rivoluzione, una festa dello spirito italiano.

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