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Mes e Ue: Conte come Tsipras (ma senza Varoufakis)?

“Il Mes in Italia ha una cattiva fama” ha detto il premier Giuseppe Conte dalle colonne della Sueddeutsche Zeitung: “Non abbiamo dimenticato che ai greci, nell’ultima crisi finanziaria, sono stati richiesti sacrifici inaccettabili perché ottenessero i crediti. Molti Paesi europei hanno guardato finora soltanto ai propri vantaggi, la Germania ha un bilancio commerciale superiore a quanto prevedano le regole Ue, con questo surplus non fa da locomotiva ma da freno per l’Europa”.

Nel novembre del 2018 l’allora premier greco Alexis Tsipras offrì questo consiglio a Conte: “Cedete subito, poi sarà peggio”. Ma pochi anni prima lo stesso giovane leader di Syriza faceva molto affidamento sui denari cinesi, mai arrivati all’ombra del Partenone, se non sotto forma di privatizzazioni (Cosco al Pireo). Quante affinità ci sono tra i percorsi dei due?

TSIPRAS 2018

Nell’agosto di due anni fa, in occasione dell’uscita della Grecia dal programma di prestiti, Tsipras disse, ricordando i giorni del 2012, che “non c’erano certezze sul percorso, tranne una, quella chiesta dal popolo greco: tirare il paese fuori dal vicolo e dai memorandum di austerità perpetua”.

Un passaggio che si lega a doppia mandata alla sua marcia indietro in occasione del referendum, quando a vincere furono i no alla troika e i no ad altri sacrifici, poi ignorati. L’estate del 2015 fu possibilmente più tragica del 2012, peggio delle doppie elezioni: perché si insinuò nei cittadini il dubbio che il giovane premier avesse orchestrato una vera e propria partita a scacchi, con fughe in avanti come la mossa del referendum ma poi con il cerino in mano lasciato all’ex sodale Varoufakis, ministro dimissionario. Lo dimostrano le sue parole, pronuncate nell’agosto di due anni fa dall’isola di Itaca: “Abbiamo affrontato onde per arrivare a destinazione oggi. L’equipaggio è cambiato. C’è chi aveva paura delle onde, c’è chi ha scelto di domarle”.

ONDE SU ROMA

Quali scenari si aprono per i conti italiani? Il cosiddetto Mes light limitato alle spese sanitarie potrebbe essere la carta giocata dall’Ue al tavolo dell’Italia, che però tenterà di intrecciarla al Recovery fund. Sul punto Conte ripete che il fatto che il Mes esista oggettivamente non vuol dire che verrà attivato soggettivamente. Ma è evidente che i denari freschi servono subito all’Italia, mentre lo stesso Klaus Regling, direttore del Mes, ha precisato che i soldi non sarebbero materialmente disponibili prima del prossimo bilancio Ue 2021-2027.

MES: SI, NO, FORSE

Pochi giorni fa sul Mes Conte ha osservato che “sta lievitando un dibattito che rischia di dividere l’intera Italia secondo opposte tifoserie e rigide contrapposizioni”. Il presidente del Consiglio ha precisato che “discutere adesso se vi saranno o meno altre condizioni oltre a quelle delle spese sanitarie e valutare adesso se all’Italia converrà o meno attivare questa nuova linea di credito significa logorarsi in un dibattito meramente astratto e schematico.”

Fatto sta che giovedì prossimo, dopo il Consiglio europeo, Conte potrebbe vedersi aprire vari scenari possibili, frutto proprio dell’esito di quel meeting europeo. In molti parlano di maggioranze diverse, riequilibri in seno al Parlamento, con il M5S che potrebbe vedere mutato il proprio status nella compagine governativa. Non a caso i grillini sono quelli che spingono (si vedano le parole di Alessandro Di Battista) sul parallelismo con la crisi in Grecia.

SENZA TROIKA

In quei giorni in cui tutti gli occhi erano puntati al centro dell’Egeo, l’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, disse che la Grecia poteva essere salvata con 30 miliardi di euro e invece la troika gliene ha prestati 300 a tassi di interesse significativi, chiudendo alcune banche, facendo le privatizzazioni a prezzi stracciati (14 aeroporti regionali alla tedesca Fraport per appena 2 miliardi). Italia e Grecia dunque legate da contingenze e percorsi comuni?

Ieri per dissipare alcuni dubbi si è esposto in prima persona il direttore del Mes, Klaus Regling assicurando che “l’Italia non sarà un’altra Grecia”. Il motivo? Parla di un nuovo approccio rispetto a dieci anni fa, come una linea di credito a tutti gli Stati dell’area euro, disponibile per tutti i Paesi con “termini standardizzati concordati in precedenza”. Ovvero senza il rischio di crisi al buio come accaduto per Atene.

CONTE & TSIPRAS

All’estero si discute molto di utilities italiane, come da allarme lanciato dal Copasir, che tra due giorni non a caso ascolterà i vertici di Unicredit, Generali, Mps, Mediobanca, Ubi, Credit Agricole italia, Intesa San Paolo per ”verificare se nel breve-medio periodo si intravedano azioni internazionali per il controllo di borsa italiana”.

Lo stesso dibattito, con i dovuti parallelismi, andò in scena nel 2012, quando Atene iniziò a privatizzare per poter affrontare i prestiti della troika. Una delle operazioni più massicce fu quella relativa al porto di Pireo, trasformato da Cosco China nel principale hub-containers del Mediterraneo, secondo solo ad Alessandria d’Egitto. Ma in quelle ore le cronache raccontarono che ad Atene, un minuto prima delle dimissioni di Varoufakis, lo stesso premier greco sperava davvero in una linea di credito da Pechino (con tutti i rischi geopolitici del caso).

VIA DELLA SETA E 5G

Oggi la Cina ha già notevoli presenze finanziarie nello Stivale, circa 4 miliardi nel mercato azionario di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Eni, Enel, Telecom Italia, Generali, Terna. Ovvero in quell’Italia che, da marzo 2019, è diventato il primo Paese del G7 ad essere un membro ufficiale della Belt and Road Initiative. Altra differenza sistemica è che mentre alla Grecia sono stati prestati 300 miliardi di euro (a tassi elevati), l’Italia paga già 70 miliardi annui di interessi sul proprio debito. Inoltre Atene ha appena detto ufficialmente no al 5G di Huawei, dopo un memorandum di intesa siglato dal premier Mitsotakis con il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo.

twitter@FDepalo

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