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Dopo l’italianità delle aziende strategiche, difendiamo quella del debito pubblico

Nell’ampia intervista pubblicata oggi sul principale quotidiano economico, Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo, rilancia un tema di grande interesse, che innesca riflessioni di sistema. Provo a riassumere il punto con una domanda e una risposta.

La domanda è la seguente: dato che – al pari di talune aziende – anche il debito pubblico (o sovrano) è con sempre più evidenza un asset strategico, anche geopoliticamente, nel quale si addensa quell’interesse strategico nazionale che stiamo con sempre maggior convinzione e consapevolezza difendendo con il rafforzamento del rimedio del golden power, esiste forse una sorta di equivalente di quest’ultimo per il debito sovrano?
La risposta è che un golden power per il debito sovrano non esiste, ma esistono rimedi antichi che hanno serbato efficacia.

Così è per l’idea, già lanciata da Giulio Tremonti qualche giorno fa nell’intervista a Formiche.net (rifacendosi a Quintino Sella), e oggi in qualche modo ripresa da Carlo Messina, di lavorare alla creazione di condizioni che orientino parte dell’ingente ricchezza privata degli italiani verso il debito pubblico italiano.

È noto infatti che il nostro Paese è molto indebitato come entità sovrana, ma fra i più floridi per ricchezza privata (anche rispetto alla Germania). Ed è altrettanto evidente che meno debito pubblico italiano sta nel portafoglio di investitori stranieri (fondi sovrani compresi), meglio è. Accanto alla necessità primaria di evitare che il relativo fardello sulle spalle delle future generazioni diventi enorme (da molto grande, quale già è), occorre infatti porsi anche il tema della effettività della sovranità (nel senso più alto dell’espressione), che oggi è prima di tutto economica, considerati gli stringenti meccanismi e le profonde interconnessioni sovranazionali fra differenti Stati.

I titoli di Stato nazionali oggi in mano ad italiani sono appena il 4/5 %, una percentuale che dovrebbe e potrebbe essere in effetti sensibilmente più alta. Nella prospettazione di Messina, questo tipo di percorso si porrebbe come alternativo a quello della classica “patrimoniale”. Alternatività o meno, certamente non sarebbe privo, esso pure, di una dimensione “etica”. Quel debito monstre lo hanno generato infatti gli italiani, e “comprarselo” in maggior misura di quanto non sia oggi, a fortiori se esentasse, sarebbe un buon modo per mostrare nei fatti attaccamento alla casa comune e per assumere un impegno pro futuro a condotte e scelte (anche nell’urna elettorale) coerenti con un orizzonte nazionale più solido e stabile.



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