Ha ragione Renzo Piano, il completamento del nuovo Ponte di Genova non può essere una festa, ma certamente costituisce un’occasione per ragionare sulle azioni da intraprendere per trasformare questo risultato in una buona pratica, che trasformi l’eccezionalità dell’evento in un’attività ordinaria dove al centro ci sono tecnologie, know how, competenze, management, e non la solita burocrazia che si parla addosso senza fare. Dopo la tragedia di Genova dissi pubblicamente che bisognava evitare di attivare un pericoloso dualismo tra la necessità di manutenere le opere esistenti, e l’indubbia urgenza di nuove infrastrutture. L’inaugurazione del Ponte Morandi era la sintesi di un Paese che sperimentava e innovava.
Negli ultimi decenni, invece, l’Italia ha realizzato solo il 13% di nuove infrastrutture, e in prevalenza sono state le nuove arterie ferroviarie a modificare la mobilità nel nostro Paese, ridisegnando anche l’urbanizzazione tra le grandi città e i cluster di sviluppo economico lungo la direttrice Salerno-Napoli-Roma-Bologna-Milano, grazie all’ intuizione di Lorenzo Necci.
L’Italia del boom era identificata con le sperimentazioni architettoniche, che avevano la capacità di osare e di far sognare, come testimoniano gli straordinari manufatti della Bologna-Firenze, un’infrastruttura simbolica dell’Italia di allora che sfidava il futuro. Quei ponti, per la bellezza, l’ingegno e la tecnologia, dovrebbero essere catalogati come patrimonio Unesco. Dopo Tangentopoli l’opposizione costante alle infrastrutture è diventata la cifra del Paese, come testimoniano i casi eclatanti della Tap, della Tav e della stessa Gronda.
Le infrastrutture non sono state più percepite come metafora dello sviluppo, ma al contrario sono state osteggiate perché avrebbero costituito il presupposto della corruzione. Per tornare a investire nelle infrastrutture occorre, però, rafforzare i ruoli tecnici nelle Pubbliche amministrazioni, che devono tornare ad avere nelle strutture tecniche allargate dei veri e propri centri di competenza capaci di fare programmazione e monitoraggio e controllo, dove possano finalmente lavorare insieme non solo ingegneri e architetti, ma tutte quelle competenze che concorrono alla realizzazione e alla comunicazione dei progetti innovativi, si pensi alle infrastrutture digitali.
Gli esempi positivi anche nella Pa italiana non mancano, come insegnano i casi di Rfi, Italferr, Agenzia del Demanio, i cui bandi prevedono delle premialità per chi progetta in Bim, un plus che dopo il 2025 sarà considerato ordinario, impattando di fatto sulla capacità organizzativa delle strutture tecniche di progetto.
Le infrastrutture inevitabilmente giocano un ruolo decisivo per programmare la ripartenza del nostro Paese. Erano prioritarie già in precedenza; ora nuovi investimenti in infrastrutture materiali e digitali diventano assolutamente necessari per scrivere una nuova fase di sviluppo e perché non si può interrompere ulteriormente un settore vitale per l’economia nazionale, come ha di recente affermato anche il presidente Ance, Gabriele Buia.
Chi scrive da sempre è contrario alla revoca delle concessioni autostradali. Le infrastrutture materiali necessitano di investimenti adeguati sui quali lo Stato, che dovrà fare fronte ad un indebitamento consistente per contrastare l’emergenza sanitaria e sostenere imprese e famiglie, non può fare fronte. In queste settimane finalmente tutti abbiamo capito che la digital trasformation sta impattando a livello globale assetti sociali, demografici, economici ed istituzionali.
Gli investimenti in innovazione scendono quando c’è la recessione. Sarebbe un errore grave arretrare sulle infrastrutture digitali, perché l’Italia mai come ora ha bisogno di forti investimenti sulle infrastrutture, sia materiali che digitali. C’è un fattore, però, che è il più importante sul quale il Paese tutto, dallo Stato alle Regioni e alle Città non può derogare: il primato della competenze e del merito.
Va bene sostenere lo snellimento e la deroga alle procedure ordinarie, come nel caso del nuovo Ponte di Genova. Questa opera, però, si sta realizzando in tempi record perché è stato individuato quale commissario Marco Bucci, manager di spessore, che ha scelto fin da primi momenti attraverso una gara pubblica, chi potesse gestire con le metodologie di program/project management l’intero progetto.
Le competenze di Bucci, che è anche sindaco di Genova, insieme con grandi manager come Marco Rettighieri, stanno facendo la differenza. Le persone e non le procedure cambiano le cose. Lo Stato, le Regioni e le città devono avere il coraggio di coinvolgere i migliori nella Fase 3, altrimenti resteremo a parlare sempre di procedure e mai di come valorizzare il merito e le competenze. Elementi che in una fase emergenziale sono importanti, ma negli step successivi diventano fondamentali.