Il paradiso (fiscale) può attendere? La solidità del regime dei Paesi Bassi rischia di essere messo in discussione dalla pandemia, soprattutto se dovesse durare ancora altri mesi.
È quanto spiega lo studio legale Loyens&Loeff, uno dei più importanti d’Europa, circa l’impatto del coronavirus sulle residenze fiscali nei Paesi Bassi: “date le numerose restrizioni sui viaggi, le aziende con residenza olandese potrebbero per esempio non essere in grado di convocare riunioni del consiglio nei Paesi Bassi”. Così a rischio ci sarebbe, tra le altre cose, “l’applicazione di varie agevolazioni fiscali sulle imposte sulle società”. Senza precisazioni da parte del ministero delle Finanze olandese né da parte della riscossione, la crisi da Covid-19 potrebbe incidere anche sui requisiti. Infatti, avverte lo studio legale, “può essere difficile soddisfare i requisiti secondo cui almeno la metà del numero totale di amministratori e altre persone con potere decisionale si qualifichino come residenti fiscalmente nei Paesi Bassi e che le decisioni di gestione siano prese nei Paesi Bassi”.
In un nostro articolo, “Olanda paradiso fiscale, bene Di Maio. Ma per governo è guerriglia o strategia?”, avevamo raccontato la vicenda che riguarda Campari, l’ultimo dei grandi gruppi italiani che hanno scelto la residenza legale olandese. Il clamore della storia, giunta in un momento poco felice per via dello scontro politico in Europa (come raccontato anche qui), ha suggerito al gruppo italiano una precisazione che volentieri riportiamo. Campari ci ha infatti scritto per “condividere una precisazione e alcuni approfondimenti sull’operazione di trasferimento della sede legale in Olanda e il suo significato strategico per la crescita di un’azienda come Campari group”.
Ecco la loro precisazione.
L’operazione è finalizzata al trasferimento della sede legale della Società, mentre la residenza fiscale rimane in Italia.
Ciò significa che le imposte continueranno a essere versate al fisco italiano. L’headquarter resta a Sesto San Giovanni, sede storica della società che compie 160 anni, il Consiglio di amministrazione resta invariato e non è previsto nessun cambiamento organizzativo o di gestione dell’attività in Italia. Le azioni della società resteranno quotate esclusivamente a Milano, dove dall’Ipo del 2001 la capitalizzazione è cresciuta 12 volte.
Campari group non sta andando in Olanda.
Il trasferimento della sede legale, con il conseguente potenziamento del sistema di voto maggiorato, ha l’obiettivo di favorire le opportunità di crescita – quali ad esempio nuove acquisizioni o alleanze strategiche – grazie a un ordinamento giuridico riconosciuto da investitori e operatori del mercato a livello internazionale, preservando al contempo l’identità e la storica presenza dell’azienda in Italia.
In questo modo, Campari Group intende valorizzare ulteriormente la dimensione globale raggiunta dal business, in un settore ancora frammentato ma che si sta consolidando, e incentivare l’azionariato di lungo termine.
Ringraziamo Campari per la precisazione e prendiamo atto che anche dal loro punto di vista il sistema olandese garantisce “un ordinamento giuridico riconosciuto da investitori e operatori del mercato a livello internazionale” mentre l’Italia permette più semplicemente di preservare l’identità storica dell’azienda.
Resta il fatto che al di là delle legittime scelte della Campari e delle altre imprese italiane c’è un gap fra l’attrattività del sistema olandese e la “repellenza” di quello italiano…
Così non possiamo che rinnovare le domande che già avevamo posto nell’articolo sopracitato. Mostrare il volto feroce per negoziare con i Paesi Bassi nelle sedi europee ottenendo qualche concessione o impostare una strategia di lungo corso per una consistente inversione di marcia dei capitali italiani all’estero coerentemente con il suggerimento di Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo.
Quelle nostre domande restano ancora in attesa di una risposta tanto più considerano le preoccupazioni che stanno emergendo con sempre maggior forza. Eccole.
La differenza non è banale. È necessario interrogarsi sul tesoro italiano ormai all’estero e mettere in piedi un programma serio di rimpatrio di capitali e di de-delocalizzazione delle imprese. Questo vorrebbe dire “scatenare” il poliziotto cattivo (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza) ma anche mettere in campo misure di attrazione fiscale per chi volesse rimpatriare le proprie ricchezze compresi i domicili delle imprese. Questo vorrebbe dire pensare a misure aggressive. Il Mef e la Ragioneria dello Stato reggerebbero a questa ipotesi? E la stessa maggioranza politica?
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È noto che riportare i buoi nella stalla dopo che sono scappati non è affare semplice, ma sbeffeggiare il premier olandese Mark Rutte difficilmente basterà. Il governo, dal premier al ministro dell’Economia, è pronto a sfidare o attrarre quel che resta dei poteri forti, ovvero le grandi famiglie del capitalismo italiano?