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Politica, scienza e amministrazione. L’alleanza necessaria. Scrive Enzo Scotti

Gli strumenti di comunicazione hanno utilizzato tutti i nomi e gli aggettivi disponibili per descrivere questo sconosciuto e terribile virus che, nella sua diffusione, si “avvale” di tutte le vie di rapidissima trasmissione di contatto tra gli umani del pianeta.

Il mix tra la velocità della diffusione e la debolezza delle armi di difesa contro un virus sconosciuto porta in tutto il mondo un clima di incertezza a partire dalle ricercatrici e dai ricercatori che mostrano difficoltà di dialogo con i decisori della vita economica, sociale e politica; ciò avviene non per cattiva volontà ma perché non esiste un’abitudine costante di relazione tra due componenti fondamentali del governo del mondo presente.

Questo stallo si rivela con grande evidenza in una situazione come questa e rende debole l’intera classe dirigente. Il ceto politico cerca di presentarsi al cittadino attento ai consigli della scienza e al bisogno di finanziamento della ricerca. C’è anche qualche mea culpa, ad esempio sui tagli alla ricerca, e la promessa che, d’ora in avanti, i comportamenti saranno più virtuosi e attenti ai bisogni finanziari di un settore così importante.

Se guardiamo la realtà si vedono, anche da parte dei maggiori scienziati, le difficoltà del rapportarsi ai politici nei termini di un dialogo dialogante sul rapporto tra l’avanzare della scienza e il governo della società. Tale dialogo non rappresenta né una svolta di felicità né si colloca sul piano delle relazioni impossibili bensì riguarda una operazione articolata e difficile che comprende anche i tentativi di “dominio” di una parte sull’altra.

Lasciamo da parte, per non limitare la riflessione, questo momento drammatico della vita nazionale. Ed è naturale, infatti, che oggi ciascuno cerchi di mostrare rispetto reciproco e dialogo rassicurando la comunità nazionale sull’impegno a realizzare un sistema sanitario fondato su una adeguata struttura per la ricerca, sul rispetto della scienza e su chiare e trasparenti decisioni strategiche della politica. Tutto questo, nella fase dell’emergenza, rischia di essere retorico e irreale e il compromesso si delinea solo in termini di risorse.

La strada giusta da imboccare è quella di un’alleanza strategica, vero dialogo, sugli obiettivi realistici da perseguire: si annunciano rilevanti investimenti per la salute. Devono essere credibili gli obiettivi, le responsabilità e l’autonomia della scienza, della ricerca e della sintesi politica. Si tratta di integrare le reciproche autonomie, non di “fondare” il sindacato delle frammentate corporazioni.

In questi giorni di transizione tra l’emergenza e le fasi della ricostruzione e dello sviluppo tutto si sta concentrando sulle complesse questioni del finanziamento della emergenza sanitaria con tutte le conseguenze sulla vita dell’economia e della società.

Sono settimane in cui una pluralità di soggetti sia statali – Parlamenti e governi (nella loro sovranità) – che della Unione europea e dell’Eurozona (Consiglio, Commissione, Parlamento, Banca Centrale) devono districarsi fra trattati, regolamenti, direttive, giurisprudenza consolidata. E, soprattutto, ci si muove ancora entro una rigida interpretazione formale delle norme.

La storia della Comunità e dell’Unione ci parla di gravi criticità affrontate facendo riferimento alle ragioni per cui l’Europa è esistita e continua a esistere. Non voglio entrare nelle difficili vicende politico-finanziarie di cui parliamo; la ragione dovrà intervenire prima che un virus metta in ginocchio l’Europa. Basti sottolineare che la cosa non è riuscita ai tanti sovranismi che pensano di esercitare un potere effettivo “chiudendosi”, di poter essere ancora “del tutto” sovrani a casa propria.

Vorrei fare, invece, una riflessione su un punto trascurato e che, come un virus, si manifesti d’improvviso dopo che le questioni finanziarie siano, per miracolo, risolte. Il problema della finanza esiste e viene anche percepito nella sua importanza determinante. Subito dopo, però, ci troviamo a fare i conti con una trappola antica, con la quale abbiamo imparato a convivere: si tratta della burocrazia – Pubblica amministrazione, insieme di apparati, norme e regolamenti che ci siamo costruiti a protezione e garanzia e che sono anche diventate la fonte della stessa corruzione che convive bene con la paralisi.

Vorrei avanzare una proposta: cosa vogliamo fare con i finanziamenti che auspichiamo, chiediamo, magari otteniamo, ma che, alla fine, non utilizziamo o sprechiamo?

Impegniamoci a non ricorrere ad alcun commissario straordinario (a non sovrapporre, a ordinamenti esistenti, nuovi ordinamenti). In queste settimane, prima che si decidano i finanziamenti, provvediamo a definire una legislazione snella che non si limiti ad accumulare norme, correggendo e integrando – ma conservando – le impalcature borboniche. Questo è possibilissimo.

Ci sono esempi eclatanti di “buone pratiche” decise in tempi brevissimi anche in tema di controlli oltre che di procedure e di competenze concorrenti. Vorrò scrivere nei prossimi giorni di queste esperienze (anche con differenti step di realizzazione).

Oggi mi fermo a una frase di Beveridge del 1944: “La piena occupazione produttiva in una società libera è possibile ma non la si può realizzare agitando una bacchetta magica finanziaria”. Beveridge, lo ricordo, fu il padre del Welfare State.


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