Il governo, il Parlamento, le forze politiche tutte hanno in linea teorica condiviso la tesi di Mario Draghi secondo la quale, nella emergenza pandemica, è necessario conservare la capacità produttiva della nazione a partire dalle risorse umane. Il che significa proteggere non solo il reddito ma, quanto più, anche i rapporti di lavoro in essere attraverso lo strumento delle casse integrazioni in deroga.
L’Italia ha già sperimentato l’impiego esteso di un analogo sussidio in costanza di rapporto di lavoro durante la crisi finanziaria tra il 2008 e il 2011 utilizzando allora il Fondo Sociale Europeo con la giustificazione di contestuali programmi di formazione. Oggi, in presenza di esigenze ancor maggiori, l’Europa mette a disposizione anche un fondo esplicitamente rivolto alla politica passiva del solo sostegno al reddito anche se non può escludere un rinnovato impiego del Fondo Sociale magari in connessione con un piano nazionale di alfabetizzazione digitale.
Ciò che conta è comunque la rapida trasmissione di queste risorse dallo Stato alle Regioni e da queste, attraverso l’Inps, alle persone e alle famiglie. La società italiana era già affaticata prima del contagio ed oggi appare diffusamente priva di quegli ammortizzatori naturali, familiari o comunitari, che in passato l’avevano sostenuta nelle transizioni. Entro aprile tutti devono percepire quel salario ancorché ridotto. L’Inps è chiamata a dimostrare efficienza con la gestione di grandi flussi. Insieme, Inps e Regioni, devono rendere superflua la disponibilità bancaria alle anticipazioni (onerose). È necessario, peraltro, da un lato garantire risorse adeguate alle Regioni in quanto queste possono emettere decreti di autorizzazione nei limiti di esse e, dall’altro, ottenere dalle Regioni stesse processi elementari e veloci di valutazione delle domande.
A questo proposito è emblematica la polemica circa il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza. Queste possono svolgere una insostituibile funzione di controllo sociale ma non fino al punto di essere dotate di un potere di veto. Nel caso del sindacato, questo potere si esercita perfino nel caso di ammissione dell’impresa ai provvedimenti per la liquidità perché deve prendere l’“impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali”. Una cosa è coinvolgere le parti in tavoli di monitoraggio regionale ove possano essere segnalate le situazioni che presentano criticità di vario genere. Altra cosa è pretendere il loro assenso, anche silenzioso, per una platea così vasta di richiedenti, molti dei quali non hanno mai conosciuto né le associazioni datoriali né i sindacati dei lavoratori.
Ritorna, ancor più in una emergenza così straordinaria, la differenza tra una funzione istituzionalizzata dei corpi sociali in quanto garantita dalla legge ed invece lo sviluppo del loro ruolo in quanto conseguenza di capacità liberamente riconosciute e apprezzate. Il potere di veto non induce mai virtù ma vizi. È stata saggia poi la decisione di coprire con le casse in deroga anche i lavoratori di aziende artigiane o commerciali non iscritte ai fondi bilaterali. E questo non significa sottovalutare la utilissima funzione della bilateralità che è stata anzi sostenuta da una nota circolare ministeriale e deve essere ora preservata da impegni di spesa insostenibili.
Insomma, questo è il tempo in cui privilegiare il risultato nei tempi compatibili con i bisogni primari delle famiglie.