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Il paradosso dello spread. Più si alza e più rafforza Conte (con il M5S) sul Mes

La pressione degli spread vale più della minaccia di un “no” al Mes dei Cinquestelle e potrebbe aiutare il premier Giuseppe Conte, è la battuta che circola tra analisti. Come dire, alla fine le ragioni dei conti pubblici prevarranno sul politique d’abord e anche il partito di maggioranza relativa finirà per accettare un prestito a costo zero dell’odiato Meccanismo europeo di stabilità, visto che l’alternativa sono dei costosissimi titoli di Stato.

Alla vigilia del Consiglio europeo del 23 aprile il differenziale tra Btp e Bund è salito sopra quota 250. Il rendimento dei titoli di Stato italiani ha sfiorato i due punti percentuali. Un assaggio di quanto potrebbe costare finanziare con bond made in Italy la spesa sanitaria per il coronavirus e non accettare i 36 miliardi della nuova linea di prestito del Mes.

Giovedì il premier Conte parteciperà al vertice europeo e lì si deciderà se e come attivare il nuovo strumento (le altre proposte, a partire dal recovery bond hanno tempi lunghi).

La linea italiana ufficiale è per il momento il rifiuto del Mes in qualunque forma, anche in quella senza condizionalità finalizzata alla sola spesa sanitaria, secondo quanto deciso dall’ultimo Eurogruppo. Ma fonti di maggioranza danno per molto probabile un via libera di Conte al nuovo Mes. Magari con un ritocco al nome che serva, in patria, a fare dimenticare i tristi precedenti legati al meccanismo di stabilità. Il salvataggio della Grecia e, soprattutto, le ipotesi di riforma formulate mesi fa che avrebbero veramente penalizzato l’italia. C’è già chi in Italia ipotizza che si possa chiamare “Nuovo Mes”.

Poi c’è la sostanza della trattativa. Ad esempio la durata del prestito, aspetto messo in luce giorni fa dall’ex premier ed ex presidente della Commissione europea Romano Prodi. Qualcuno in Italia spera anche di rendere meno vincolante la destinazione delle spese, aprendo a quelle non strettamente sanitarie. Ipotesi che non dispiace alla Francia, ma che proposta dall’Italia suonerebbero inaccettabile per i Paesi del Nord Europa.

Nella migliore delle ipotesi, insomma, Conte potrà ottenere che i prestiti siano effettivamente senza condizionalità, come previsto dall’accordo politico raggiunto all’ultimo Eurogruppo e che non spuntino sorprese dell’ultima ora.

Su questo fronte non mancano alleati e chance reali. Significativamente il segretario del Mes, l’Italiano Nicola Giammaroli, ha dedicato un post nel blog del meccanismo per spiegare che “l’unico requisito per accedere alla linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità è l’impegno a utilizzare i soldi per pagare i costi dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta”. Segno che anche il management del Fondo è a favore. La vera sfida arriverà dopo. Qualunque sia la conclusione del Consiglio Europeo, prima di ottenere i 36 miliardi di prestiti (su un totale di 240) l’Italia, come gli altri Paesi, dovrà superare un’istruttoria da fare direttamente con il Mes. Un po’ come le imprese che in questi giorni stanno trattando con le banche i prestiti che dovrebbero essere garantiti al 100 per cento dallo Stato.

Poi c’è l’impegno sui recovery bond. Di fatto la possibilità di emettere titoli di debito europeo per integrare le risorse del bilancio dell’Unione. Ma anche in questo caso non si tratta di una novità. Lo strumento esiste già (il meccanismo a leva è simile a quello del piano Juncker). E la posizione dell’Italia è sempre stata a favore. Il governo gialloverde, guidato dallo stesso Giuseppe Conte, ne fece una proposta ufficiale al Consiglio Affari Generali, firmata dall’allora ministro Enzo Moavero Milanesi. Se il premier saprà giocare le sue carte senza toni rivendicativi o conflittuali potrà dare un contributo a fare passare questa forma di debito europeo. Di fatto un eurobond.



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