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Stati Uniti o Cina. Da che parte sta l’Europa? Il commento di Capozzi

La pandemia da coronavirus è stata il terzo, terribile colpo inferto dalla storia al progetto europeo nato a Maastricht con la fondazione dell’Unione. Forse il colpo decisivo, che costringerà a cambiare radicalmente il suo impianto, o ne decreterà la fine, con conseguenze ancora inimmaginabili.

Il primo trauma fu la turbolenza mondiale cominciata con l’11 settembre 2001. L’inizio ufficiale dello “scontro tra civiltà” e l’ingresso nel mondo radicalmente policentrico e conflittuale del “disordine globale” mandavano all’aria in pochi mesi la lunga tessitura che a partire dall'”ingabbiamento” della Germania riunificata aveva puntato a costruire un polo politico europeo forte, incentrato sul nucleo della zona Euro: un nucleo in grado di concorrere nel mondo globalizzato con gli Stati Uniti e di fare da mediatore tra Occidente e nuove potenze asiatiche, Cina in testa.

L’Ue si ritrovava, invece, dilaniata tra fedeltà atlantica, blocco russo-cinese e aggressione dell’integralismo islamico, il quale poneva ai suoi membri inedite questioni di sicurezza e disarticolava il suo tessuto sociale facendo emergere tutte le contraddizioni culturali dell’immigrazione di massa. Il gigante europeo si riscopriva più piccolo, assediato, incerto sulla sua collocazione geopolitica.

Il secondo colpo è stata la Grande Recessione cominciata nel 2007-2008, che ha bruscamente portato in luce l’insostenibilità di un’idea inerziale di crescita mondiale fondata sul credito facile, spalancando al contempo all’interno della Ue una crepa abissale tra Paesi ancorati all'”austerity” nelle politiche di bilancio e Paesi dipendenti da forti iniezioni di liquidità per stimolare la crescita. Una crepa che evidenziava la sostanziale ingestibilità della moneta unica così come era stata concepita, e per la governance che ne era maturata: cassaforte, fortezza e assicurazione sulla vita per alcuni; carcere duro e tortura per altri.

L’ultimo strale, quello pandemico, è arrivato dalla Cina – epicentro di una globalizzazione Asia-centrica che ha costretto da 20 anni i Paesi industrializzati a un affannoso inseguimento a handicap – sintetizzando esemplarmente gli effetti destabilizzanti di quel processo. Esso ha colto tutto l’Occidente in contropiede, benché la eventualità di fenomeni di questo genere fosse stata più volte adombrata – e l’Europa ancor di più.

Il Covid-19 ha posto infatti brutalmente i Paesi dell’Ue davanti a 3 durissime realtà: 1) chi si lega troppo a Pechino ne diventa dipendente, non solo economicamente ma anche “biopoliticamente”, rischiando di essere risucchiato volente o nolente nel cono del suo sistema autoritario; 2) l’emergenza sanitaria disgrega l’Unione – incapace di gestirla con strumenti comuni e uniformi – facendo emergere in essa un quadro caotico di “si salvi chi può”, una legge della giungla in cui ciascun Paese si rinchiude in se stesso cercando di dotarsi degli strumenti idonei alla sopravvivenza fisica di popolazione ed economia; 3) la terribile tempesta recessiva causata dalla pandemia esige una massa di liquidità e investimenti per la crescita per i Paesi più colpiti che è strutturalmente incompatibile con le attuali norme di bilancio e con gli attuali rapporti di forza tra gli Stati.

Sotto questa pressione ulteriore i limiti strutturali di un progetto nato senza anima, la sua essenza oligarchica, il suo “deficit di democrazia” da troppo tempo dimenticato, la sua corsa troppo frettolosa all’allargamento e ai vincoli monetari vengono al pettine, e lo spettro di una scissione tra “Nord” e “Sud”, o in più tronconi, diventa sempre più drammaticamente realistica.

Sullo sfondo, si profila poi la questione politica decisiva: nel nuovo bipolarismo globale tra Stati Uniti e Cina, tra globalizzazione delle libertà o del “lockdown”, che la pandemia ha bruscamente accelerato, da che parte sta l’Europa?

La scelta è urgente. E questa Unione, allo stato attuale, non è fisiologicamente in grado di dare una risposta razionale, perché in massima parte non è più in grado di riconoscere e salvaguardare la radice di civiltà occidentale a partire dalla quale i processi di integrazione continentale, all’epoca della Guerra fredda, presero avvio.

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