Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Stop alla politica dei sondaggi. Ripartiamo con spirito unitario. Parla Stefano Parisi

“Il vero problema, quello che ci preoccupa di più, è che non esiste una strategia di uscita definitiva dal lockdown”. E ancora, sulle conseguenze economiche dell’emergenza: “Dobbiamo fare presto: sono trascorsi due mesi e molte aziende non hanno visto neppure un euro. Di questo passo rischiamo il collasso”. Da qualche settimana Stefano Parisi ha promosso un manifesto per provare a voltare pagina e a riaccendere i motori del Paese: si intitola Ricostruire e può contare sull’adesione di centinaia di firmatari tra cui manager, esperti, giornalisti e professori universitari (tra gli altri – insieme anche all’ex ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria – Cesare Avenia, Giuseppe Bertagna, Raffaele Calabrò, Giovanni Castellaneta, Stefano da Empoli, Giorgio Fossa, Giampaolo Galli, Vito Gamberale, Donato Iacovone, Giancarlo Loquenzi, Lorenzo Ornaghi, Fabio Pammolli e Maurizio Sacconi). Un’iniziativa che mira a fare sistema, con interventi non solo economici anche molto incisivi, per cercare di far uscire l’Italia in piedi da questa crisi senza precedenti. E magari per porre le basi di una rapida ripartenza. Tuttavia – ha spiegato Parisi in questa conversazione con Formiche.net – i segnali che arrivano dal governo, e più in generale dalle forze politiche, non paiono affatto incoraggianti: “Continua a prevalere, in particolare a Palazzo Chigi, una logica elettoralistica. Non so come sia possibile, ma sembra che non si rendano conto dell’urgenza e della gravità della situazione”.

Si riferisce all’inizio a singhiozzo della tanto evocata Fase 2?

Da due mesi il governo ci sta dicendo che dobbiamo stare più o meno chiusi a casa, ora potremo anche andare a visitare i nostri congiunti o a correre nel parco. Però non ci racconta cosa sta facendo in concreto per consentire la riapertura del Paese. Saranno fatti i test? Saranno consegnati i dispositivi di protezione individuale a tutti i soggetti a rischio? Convivere con questo virus fino al vaccino vuol dire capovolgere la logica usata fino adesso: dobbiamo testare e tracciare i positivi per liberare in sicurezza il resto del Paese.

E dal punto di vista economico? Sembra prevalere la logica dei prestiti alle aziende nonostante molte voci invochino risorse a fondo perduto per sostenere il nostro sistema produttivo.

Ricorrere soltanto al credito, ancorché garantito dallo Stato, non risolve il problema. Si pensi al ristorante che ha chiuso, che ha ancora i costi del personale, dell’affitto o del leasing per l’acquisto della cucina e che non ha avuto ricavi per oltre due mesi. Quell’azienda non sarà in grado di pagare un mutuo domani, come non lo è la piccola impresa del manifatturiero o del settore dei servizi. Il rischio è che le aziende falliscano prima di ottenere il prestito – ammesso che le banche lo concedano – o che, comunque, arrivino talmente indebitate da non riuscire a ripagarlo.

In questo senso voi cosa proponete?

Con l’ex ministro dell’economia e delle finanze Giovanni Tria (qui un suo recente intervento su Formiche scritto a quattro mani con Pasquale Lucio Scandizzo) stiamo chiedendo che gli aiuti siano prevalentemente a fondo perduto: tenere in vita un’azienda attraverso i ricavi persi nei mesi del lockdown vorrebbe dire consentirgli di sopravvivere e di continuare a pagare le tasse una volta che il lockdown sarà terminato. Anche dal punto di vista della finanza pubblica, questo esborso di oggi – stimato tra i 70 e i 100 miliardi di euro – ci permetterebbe domani di rientrare, almeno in parte, in termini di gettito fiscale. Con il sistema delle garanzie, invece, rischiamo che le imprese comunque falliscano e che alla fine il loro debito si scarichi comunque sullo Stato.

Servono le risorse europee per riuscirci?

Siamo convinti che l’Europa sia fondamentale e che allo stesso tempo abbia una classe dirigente assolutamente inadeguata, come peraltro l’Italia o gli Stati Uniti: c’è un’enorme problema di leadership nel mondo occidentale. Detto questo, è chiaro che l’Unione possa contribuire in modo molto rilevante. Tuttavia, nonostante la discussione nel nostro Paese verta tutta su Bruxelles, continuo a pensare che il problema di fondo siamo noi stessi.

In che senso?

Anche se l’Europa ci desse i soldi, non saremmo capaci di spenderli. Questa è la verità. In Italia siamo lentissimi nel trasformare il nostro debito in Prodotto interno lordo, in ricchezza. Il nostro problema non è tanto rappresentato dall’ammontare delle risorse che l’Ue ci darà, quanto, soprattutto, dall’utilizzo che saremo in grado di farne.

La burocrazia rimane la madre di tutte le riforme che l’Italia deve varare?

Se non rendiamo efficiente il nostro sistema pubblico, il rischio è di avere nel 2021 una crescita che non compenserà minimamente il crollo del 2020, mentre avremo sicuramente un enorme incremento del debito. Questa è la volta buona perché in Italia si facciano le cose che servono, l’alternativa sarebbe l’abisso.

A quali interventi si riferisce?

Si trasformi la Pubblica amministrazione con una grande operazione di digitalizzazione, si abroghi il codice degli appalti per adottare, così come sono, le direttive europee che sono direttamente applicabili, si elimini il reato di abuso di ufficio e si prevedano assicurazioni serie per i dirigenti pubblici affinché tornino a firmare e a decidere, ovviamente con i sistemi di controllo necessari a prevenire e sanzionare la corruzione. Se non rimettiamo in moto subito il meccanismo della nostra capacità di spesa pubblica, rischieremo grosso.

In questo contesto è giusto ripartire, a suo avviso, anche dal settore delle costruzioni?

Checché se ne dica, l’edilizia è il motore dell’economia. Occorre un grande piano che preveda la realizzazione di grandi opere pubbliche, interventi di rigenerazione urbana, demolizioni e ricostruzioni. Penso allo stadio di San Siro a Milano: le grandi opere simbolo svolgono una fondamentale funzione di traino. E lo stesso vale per tutto il patrimonio abitativo, a partire dalle periferie delle nostre grandi aree urbane. In tutti i Paesi con il Pil in espansione si vedono le gru in giro nelle città, da noi no. Non va bene.

E la politica in tutto questo?

I partiti italiani si sono abituati a vivere di sondaggi. Ed è ancora così, nonostante la pandemia e il lockdown. Purtroppo la politica mi pare allo sbando: comunica moltissimo ma non offre soluzioni concrete. Ci sono due modi per uscire da questa emergenza: con un reale cambio di passo – per il quale occorre il contributo di persone capaci e competenti, in grado di risolvere davvero i problemi e non solo di denunciarne l’esistenza – oppure continuando ad andare avanti come prima della pandemia. In questo secondo caso, però, rischieremmo un terremoto dal quale l’Italia potrebbe non rialzarsi.

In queste settimane si è forse abusato della metafora bellica. Però il tema rimane sulla sfondo: servirebbe, a suo avviso, quello stesso spirito unitario che consentì all’Italia di ripartire nella seconda metà degli anni ’40?

Assolutamente sì. Questa però non è stata una guerra, ma una pandemia: i suoi effetti sull’economia e sulla società li continueremo a vedere nei prossimi mesi e anche nel 2021. Nel dopoguerra il giorno dopo si cominciò a ricostruire, mentre stavolta avremo il rischio enorme di un prolungamento della crisi per molto tempo. E’ evidente che servirebbe uno spirito unitario, che però dovrebbe essere di tutti. Mi pare che invece, in questo momento, prevalga l’idea di una continua competizione elettorale, alimentata soprattutto dal governo e dalla strategia di comunicazione del premier che persegue una logica divisiva. Così non si va da nessuna parte, lo spirito del dopoguerra è stato di ricostruzione: qui più che altro c’è uno spirito competitivo.

Ma in un momento come questo l’Italia può permettersi di tenere Mario Draghi in panchina?

In Italia abbiamo persone competenti, ce ne sono moltissime. Peccato però che quasi nessuno si occupi di politica. Mario Draghi ovviamente è una grandissima risorsa per il Paese, innanzitutto dal punto di vista pratico: nel senso, ad esempio, che se fosse presidente del Consiglio e l’Italia emettesse un bond, quel bond costerebbe meno in tassi di interesse proprio perché ci sarebbe lui a garantire. Questo è il grande valore delle persone di qualità. Credo però che la politica non ci pensi proprio: Draghi farebbe ombra a tutti gli altri. Spero non sia così, ma temo di sì.

×

Iscriviti alla newsletter