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Niente paura del Mes. Villafranca (Ispi) spiega perché

L’Italia ha vinto o ha perso ieri all’Eurogruppo? La risposta è, dipende. Perché, dice a Formiche.net Antonio Villafranca, coordinatore della ricerca dell’Ispi e co-responsabile del Centro Europa e Governance Globale, se quello di ieri è l’inizio di un percorso verso una risposta alla crisi più ampia e articolata allora l’intesa raggiunta è positiva. Ma se al contrario è il culmine degli sforzi, come a dire più di così non si può fare, allora non ci siamo.

Villafranca, dal punto di vista italiano quello di ieri è un buon accordo o no?

Il giudizio sull’accordo dipende da quello che questo rappresenta per i governi europei. Se si tratta del massimo, o quasi, che riusciranno a fare in comune, allora non va bene, perché inadeguato rispetto alla portata delle sfide. Se invece rappresenta una tappa intermedia verso un vero piano di rilancio, allora il giudizio è positivo perché prevede in chiave solidaristica delle prime urgenti misure per affrontare l’emergenza.

E l’Italia? Come ne esce?

L’accordo di ieri ha come compito quello di gestire l’attuale situazione, dando delle primissime risposte, per esempio i sussidi alla disoccupazione pagati dall’Europa, dietro garanzie fornite dagli Stati. Non si tratta di cifre enormi, ma è un inizio e non era scontato ottenerle. Quindi se è vero che quello di ieri è un primo passo, allora l’Italia ne esce discretamente. Ma attenzione, se ci si ferma qui, senza poi portare avanti, per esempio. il discorso del Recovery plan, allora tra qualche mese dovremo rivedere i nostri giudizi.

Oggi si parla molto del Mes. Il ricorso al Meccanismo è stato ufficializzato, è quel cappio che si stringe al nostro collo?

Il ricorso al Mes è volontario, non siamo obbligati e poi se ricorriamo al Mes per le spese sanitarie non ci sono contropartite in cambio, mi sembra che le maglie siano state allargate. Se poi però utilizziamo il Mes per altre operazioni, per altri salvataggi, allora rimangono le condizioni generali, quelle più stringenti. Lì la questione è diversa.

Il piano messo a punto dell’Europa può valere fino a mille miliardi. Ma dove prendere i soldi?

Nelle conclusioni ci si limita a dire che il prossimo bilancio Ue 2021-2027 giocherà un non meglio specificato ruolo centrale, e quindi anche i Paesi del Nord dovrebbero metterci più soldi. Ma comunque è chiaro che potrebbe non bastare. Anche solo per una questione di tempi: l’intervento sull’economia impone tempi ben più rapidi dell’avvio del prossimo bilancio Ue nel 2021.

E allora?

I ministri delle Finanze al momento si limitano a concordare in un enigmatico sforzo per identificare meccanismi innovativi di finanziamento. Ma nessun esplicito riferimento viene fatto agli eurobond…

Già, gli eurobond, i grandi assenti…

Sì, esatto. Non è stato messo nero su bianco che per finanziare il piano verranno utilizzati degli eurobond. Il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno (nella foto), lo ha solo paventato. Ma nell’accordo di ieri non c’è nessun riferimento agli eurobond. Peccato, perché se ci fossero stati sarebbe stata un’intesa molto, ma molto più completa a fronte di una crisi non grave, ma gravissima.

Per momenti eccezionali, servono risposte eccezionali…

Basti pensare che dopo l’emergenza coronavirus l’indebitamento pubblico e privato aumenterà notevolmente con il rischio di una nuova crisi finanziaria che potrebbe ricordare molto da vicino quella precedente. Il rischio quindi va oltre l’impatto sul Pil dei Paesi e riguarda la tenuta stessa dell’Eurozona. Da qui l’esigenza di un piano per la ricostruzione economica europea da finanziare con emissione di eurobond.



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