Banche e conti pubblici italiani sotto la lente dei media internazionali. Con giudizi tutto sommato positivi per le prime, molto meno per i secondi. In un’analisi intitolata “Intesa Sanpaolo è la banca più pregiata dell’Ue: perché?” l’esperto di finanza del Financial Times Patrick Jenkins osserva come in un contesto particolarmente difficile per l’Italia e l’Europa, “la banca più apprezzata nell’Ue, valutata sul prezzo delle azioni al valore contabile è ora Intesa Sanpaolo in Italia”. Risultato sorprendente viste le previsioni sul Pil Italiano e l’esposizione degli istituti di credito verso il debito pubblico nazionale e il downgrade dell’intero settore da parte di Fitch. In queste condizioni il rapporto tra il prezzo delle azioni di Intesa e il loro valore contabile, sebbene basso in termini assoluti “è ancora pari al doppio della valutazione attribuita ai concorrenti nazionali come Unicredit o a istituti europei come Barclays, Santander e Bnp Paribas”. Pesano, sicuramente la gestione patrimoniale, la capitalizzazione. Tra le attività, il private banking e il settore assicurativo, aiutato dalle incertezze legate alla pandemia. L’attività assicurativa di Intesa è cresciuta e il settore delle polizze sanitarie “potrebbe effettivamente beneficiare di una ripresa post-coronavirus negli affari, con più persone”.
Il Financial times cita analisti di Jefferies secondo i quali le perdite di credito previste da Intesa, attraverso le sue proiezioni del costo del rischio, sono “ottimistiche”. Possibile che pesi la volontà di non destabilizzare l’operazione per l’acquisizione di Ubi, che Intesa ritiene ancora più importante ora, dopo la crisi da coronavirus. “E in effetti” nella “overbanked” Italia, secondo il giornalista finanziario “una combinazione di due dei primi cinque istituti di credito dovrebbe dare alla banca risultante una quota di mercato dominante e offrire notevoli risparmi sui costi”. Il successo resta un’incognita. A favore di Intesa, “un capitale più forte e un mix di entrate più robusto rispetto a molti concorrenti”. Contro possibili “venti contrari” della recessione, di un aumento dei crediti deteriorati e una eventuale crisi del debito.
Ed è proprio una eventualità del genere che è al centro di un’altra analisi intitolata “Perché il debito italiano è importante per tutti”, questa volta sul Washington Post. L’editorialista Robert J. Samuelson osserva come la combinazione di economie in difficoltà e deficit nazionali in aumento in Europa, stia facendo crescere il peso del debito. “Il capital economics report prevede nel 2020 debiti al 73% del Pil in Germania, del 120% in Francia, 180% in Italia e 222% in Grecia”. Situazione a rischio di sostenibilità, in particolare per Italia e Grecia, che sono “vicine al limite”. “Se non sarà predisposta una qualche forma di soccorso finanziario, l’Italia potrebbe essere costretta a uscire dall’euro, portandosi dietro alcuni altri Paesi altamente indebitati”. Il soccorso è comunque difficile, soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Quantitative easing. Ma la posta in gioco è alta, secondo il Washington Post. “Le sovrastrutture politiche e sociali della società moderna si basano su fondamenta economiche che permettono alla maggioranza delle persone di vivere dignitosamente”. Un equilibrio che forse abbiamo dato per scontato, ma che oggi è a rischio.