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Assistenzialismo? No, grazie. Meglio investire nel futuro. Parola di Becchetti

Forse ha ragione Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria, quando paventa l’esplosione di una mina sociale, il prossimo autunno. Quando cioè i soldi distribuiti dal governo, sotto forma di Cig, prestiti a garanzia pubblica, redditi di emergenza e cittadinanza e bonus delle varie casse previdenziali, saranno finiti. Soldi a pioggia, l’hanno bollato gli imprenditori, che non basterà a salvare la nave. A meno che non si trasformi il denaro pubblico in investimenti. E pensare che proprio questa mattina, alla Camera, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ha rivendicato la portata degli interventi anti-coronavirus, senza, o quasi, pari in Europa. Ma allora dove sta la verità? Formiche.net lo ha chiesto a Leonardo Becchetti, economista, esperto di lavoro e società e docente all’Università di Tor Vergata.

OCCHIO ALLA BOMBA (SOCIALE)

“Se ci sarà una mina sociale molto dipenderà da se, ai due mesi quasi di blocco della Fase 1, non si sommerà un periodo troppo lungo di ripartenza lenta nella Fase 2”, spiega Becchetti. “E quindi dobbiamo sperare che arrivi presto il vaccino o l’immunità di gregge”. Questione di tempo, insomma, solo ed esclusivamente tempo. Nel mentre però, il governo è chiamato a fare scelte azzeccate, o la mina esploderà, avverte Becchetti.

“Sulle politiche del governo un dato a mio avviso è certo. Il prestito liquidità non basta anche se è una buona opportunità perché offre, grazie alla Bce, prestiti a tassi molto bassi. C’è bisogno di allungare la coperta, aumentando le garanzie, riducendo i tassi, allungando le scadenze, aumentando l’ammontare dei prestiti. E c’è bisogno di un po’ di fondo perduto. Attraverso varie forme come la Cig, il credito imposta per affitti e lo stop agli oneri di sistema per bollette per artigiani e Pmi per periodo chiusura. Molto importante sarà il nuovo pacchetto su cui il governo sta ragionando adesso. E che dovrebbe prevedere forme di ricapitalizzazione o di fondo perduto diverse a seconda della dimensione delle imprese”.

LA FASE 2 AVANZA, PIANO

L’altra questione sono i tempi della ripresa della nostra economia. In molti, questa mattina, hanno visto nella fine del lockdown, l’uscita dal tunnel più oscuro. Non è così, dice Becchetti, perché interi pezzi della nostra economia, faticheranno a ripartire. “Ci sono aziende che non si sono mai fermate. E altre che sono state rapide a riconvertirsi in larga misura al digitale perché operavano in settori in cui questo era possibile. I settori più delicati sono quelli che non possono prescindere da assembramenti per il consumo o l’erogazione del servizio. Dai trasporti alla ristorazione, al turismo fino al settore degli eventi. Per loro la ripartenza sarà più difficile”.

RIPARTIRE, MA COME?

Non si può certo dire che il governo italiano fin qui se ne sia stato con le mani in mano. Di soldi ne sono arrivati e ne arriveranno. Ma è proprio questo il punto, è meglio fare della buona assistenza, tamponando la ferita o mettere le aziende in condizione di ripartire? Becchetti fa chiarezza. “L’alternativa non è solo tra assistenzialismo e investimento, ma è anche tra modelli diversi di investimento. Dobbiamo evitare la tentazione di una ripartenza ‘non importa come’. Il campanello d’allarme del Covid-19 ci ha ricordato ancora una volta che il nostro sistema economico è fragile e molto esposto a shock di salute e ambientali (soprattutto al Nord). Già prima della pandemia l’Oms ammoniva che in Italia muoiono 219 persone al giorno per le polveri sottili ed eravamo costretti a chiudere al traffico per molti giorni le città più inquinate per sforamento dei limiti. I dati di centinaia di lavori di ricerca nella scienza medica mettono in evidenza che l’esposizione prolungata alle polveri aggrava la risposta a malattie respiratorie e polmonari. E i dati di oggi indicano che la correlazione tra contagi e decessi e livello d’inquinamento è molto significativa”.

Di qui una conclusione. “Trarne le conseguenze non vuol dire scegliere la decrescita ma trasformare il nostro problema in opportunità. Le parole chiave devono essere economia circolare, efficientamento energetico degli edifici (un affare per il settore edilizio e anche per i cittadini per i minori oneri in bolletta), digitalizzazione e smart working. Possiamo muovere in una direzione che incide positivamente su creazione di valore, lavoro, ambiente, salute. Sarebbe un delitto non farlo”.



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