Tre anni: tanto durerà la crisi del trasporto aereo mondiale. A dirlo sono Airbus e Boeing, entrambe costrette a fronteggiare le cancellazioni o rimodulazioni degli ordini da parte delle compagnie aeree di tutto il mondo, a loro volta sotto pressione per il blocco dei voli dovuto al Covid-19. Se si sposta lo sguardo dalle singole compagnie all’intero settore, è chiaro che dal drastico calo delle consegne si può estrapolare la tendenza generale di un’intera filiera e dei suoi risultati economici: aeroporti e turismo, in primo luogo, ma anche tutti quei settori che fanno affidamento sul trasporto aereo per prodotti di ogni genere (gran parte delle rose vendute in Europa vengono dall’Etiopia, per esempio) o catene di montaggio alimentate da componentistica dalle provenienze più disparate.
Per capire quanto sia grave la crisi può bastare la lettera inviata ai dipendenti a fine aprile da Guillaume Faury. L’amministratore delegato di Airbus ha sintetizzato il problema con una certa brutalità, spiegando che in due settimane si è volatilizzato un terzo dell’attività della società. Proprio a un terzo corrisponde il taglio della produzione Airbus, distribuito sull’intera famiglia di velivoli.
Stante il perdurante stop della linea 737 Max, la percentuale Boeing è più difficile da calcolare, ma prodotti di punta come 787 e 777 vedranno dimezzato il ritmo di costruzione. Data la rigidità della produzione, anche per via della lunga catena di fornitura, parte della quale arrva fino in Italia, i costruttori cercano in ogni modo di reagire alle crisi con tagli forti, che sarebbero poi difficili da invertire.
Entrambi i costruttori vedono il ritorno della domanda di aeroplani di linea ai livelli attuali – e, di conseguenza, la domanda di trasporto aereo – non prima del 2022. Bisogna poi aggiungere alcuni anni perché quanto venduto sia effettivamente costruito. Una botta durissima, che ha già portato Boeing a recedere dall’accordo con Embraer e a ripensare il New Midsize Airplane (Nma) da 250-300 posti, il cui sviluppo sembra oggi assai difficile da finanziare.
Dal lato degli operatori, il distanziamento sociale imporrà prima uno stop e poi un ripensamento alla crescente densità a bordo degli aerei. In questo caso la sfida riguarderà la sostenibilità stessa del modello low cost: per continuare a offrire viaggi a basso costo, le compagnie dovranno riuscire a superare i prossimi 12-18 mesi, nei quali è agevole prevedere restrizioni e cautele sanitarie di ogni genere.
La sopravvivenza delle compagnie low cost è cruciale sia per i costruttori (in quanto traina le vendite dei bimotori a corridoio singolo, come Airbus A320 e Boeing 737) sia per il turismo e, in parte, i viaggi d’affari. In un momento in cui si discute di limitare le metropolitane a 120 passeggeri per convoglio e i ristoranti alla metà o un terzo dei coperti, sembra però difficile continuare a offrire sedili spaziati di 73-76 centimetri come sulle attuali low cost. Diminuire i posti offerti farebbe non solo salire i prezzi, ma anche calare l’interesse di molte località minori a sostenere le rotte per incentivare il turismo. Gli stessi aeroporti vedrebbero scendere i propri guadagni dalle attività non air, dall’affitto degli spazi commerciali ai proventi dei parcheggi.
Per contenere i costi, la leva più immediatamente raggiungibile è quella del personale. In Lufthansa, i piloti hanno già dato la propria disponibilità a una riduzione salariale del 50% in cambio della tutela dei posti di lavoro. Altrove è facile pronosticare il taglio degli assistenti di volo, il cui numero varia in funzione del numero di passeggeri.
La riduzione dei voli impatterà poi tutta la catena dei servizi, a partire dall’assistenza al volo. Nella migliore delle ipotesi, i minori volumi ridurranno le esigenze di personale e spingeranno ad una maggior concentrazione dei centri di controllo. A soffrire di più saranno gli air navigation service providers che sono andati più avanti nella trasformazione in società o, addirittura, nello sbarco sul mercato azionario.
Diventa, infine, molto fosco il quadro per lanciare nuove compagnie o rilanciare quelle esistenti, come nel caso di Alitalia. A breve-medio termine la riduzione del traffico sembra quasi inevitabilmente più forte delle economie ed efficienze di un nuovo piano indistriale. Per il sommarsi di difficoltà contingenti e strutturali, l’auspicata ripartenza diventa ormai ancora più ardua.
In questo quadro a tinte fosche – ma non a caso Faury ha sottolineato essere in gioco la sopravvivenza stessa di Airbus – la nota maggiore di speranza è la constatazione della centralità del trasporto aereo nel mondo contemporaneo. Tutto ciò che è urgente o pregiato viaggia ormai per via aerea, relegando i trasporti via superficie ai carichi ordinari o ingombranti. La consapevolezza di questa realtà ha già spinto molti governi a dare o promettere assistenza alle compagnie aeree, permettendo loro di continuare a volare in condizioni quasi normali. È già molto: finché c’è volo, c’è speranza.