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Bene lo Stato nell’economia ma no a una nuova Iri. La versione di Alberto Clò

Lo Stato nell’economia? Non se ne può fare a meno, ma per carità non resuscitiamo la vecchia Iri. Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, nel presentare il Decreto Rilancio, ci ha messo un po’ una pietra sopra: l’Iri non tornerà, ma lo Stato nell’industria e nell’economia serve, magari per pochi anni, ma serve. E Alberto Clò, economista ed ex ministro dell’Industria ai tempi del governo Dini, quando l’Iri c’era ancora, sembra condividere in pieno la linea del ministro dem. Linea sommariamente condivisa anche da Piero Gnudi, che dell’Iri fu ultimo presidente, in un colloquio sul Foglio.

L’ORA DELLO STATO, MA NON DELL’IRI

“Mettiamola così, lo Stato oggi serve nell’economia. Perché ci sono imprese che stanno morendo, ma guai a resuscitare l’Iri”, premette Clò. “Oggi abbiamo un vantaggio, che è quello di uno Stato che può aiutare l’economia in altre forme e a tempo limitato, a cominciare da Cassa Depositi e Prestiti. L’Iri era ben altra cosa, entrava, prendeva il controllo. Non credo sia oggi necessario fare un altro organismo pubblico. E poi non ci sono le condizioni di allora, oggi abbiamo un livello di classe dirigente che non è quello di prima. Non voglio dire che mancano le competenze. Io ho sempre avuto un grande rispetto per i cosiddetti boiardi di Stato, le imprese pubbliche, non dimentichiamolo, sono state una vera fucina di tanti manager in gamba”.

L’ex ministro fa un confronto storico. “I boiardi di Stato, e penso all’Iri, hanno fatto grandi cose, pensiamo all’Autostrada del Sole. Purtroppo spesso ne è stata data una visione degenerata e sbagliata”.

UNO STATO SOFT 

Clò non nasconde la necessità di un supporto statale all’economia. “Non possiamo negare che ce ne sia bisogno, guardiamo alla situazione attuale. Però dobbiamo capire se questa può essere un’esperienza temporanea, che converga tra l’interesse del Paese e le ragioni del libero mercato. Ci sono settori strategici che hanno bisogno di ossigeno e vanno rilanciati. E allora un intervento non massiccio ma pro tempore sarebbe la cosa migliore”.

Quando si pensa all’Iri è inevitabile poi incappare in qualche recrudescenza tipica dello scontro ideologico tra pubblico e privato. “Però faccio notare una cosa: oggi le maggiori aziende italiane sono pubbliche, è un caso? Io non credo. Diciamo che le imprese private si sono dimostrate molto più deboli di quanto potessero essere. Anche le grandi privatizzazioni che furono fatte per democrazia economica, hanno un bilancio con luci ma molte ombre. Basti pensare che avevamo la leadership mondiale nelle telecomunicazioni (l’ex Telecom, ndr), ora siamo invece in posizione marginale”.



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