Ci sono le ubbie e le posizioni politiche. Rispetto all’Europa sembra proprio che quel confine si sia assottigliato, fino a punto da scomparire. Sul Mes i dubbi iniziali erano più che giustificati. Nella proposta originaria non erano chiari i protocolli che si sarebbero seguiti. Il riferimento all’Eccl (Enhanced Conditions Credit Line) aveva complicato non poco le cose. Il prestito sarebbe stato concesso, ma solo a condizione di una svolta programmatica negli assetti di politica economia. Durante il successivo periodo, il debitore sarebbe comunque rimasto nella scomoda posizione di “osservato speciale”. Tanto era bastato per far rispondere con un raccapricciato “No grazie”.
Poi era iniziata la lunga trattativa, volta a chiarire che il vecchio Mes, di fronte alla pandemia, era stato a sua volta colpito dal Covid 19, e quindi deceduto. All’Eccl veniva quindi sostituita una procedura completamente diversa. Grazie alla quale i finanziamenti sarebbero stati concessi alla sola condizione del rispetto del vincolo di destinazione. Dovevano essere usati, esclusivamente, per far fronte alle spese dirette ed indirette relative all’epidemia. Sembrava, quindi, che il dato del contendere iniziale – la condizionalità – fosse stato, come in effetti è stato, definitivamente superato.
Rimaneva tuttavia il sospetto. Che si nutriva delle remore ideologiche contro un Europa vista più come nemico che non come un alleato. Ed il sospetto manteneva inalterata la frattura all’interno delle forze di maggioranza: con Il Pd ed Italia viva da una parte. A favore del Mes. Ed i 5 stelle, a loro volta spaccati al loro interno, incapaci di superare le più antiche pregiudiziali. Rimaneva l’imbarazzo del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla ricerca di un’impossibile mediazione tra i due duellanti. Ormai decisi, soprattutto per ragioni di concorrenza politica, a non rinunciare alle rispettive posizioni identitarie.
Questo quindi il canovaccio che ha fatto da sfondo alle più recenti convulsioni. Durante le quali il presidente del Consiglio, seppure a giorni alterni, si era accostato alle posizioni dell’uno o dell’altro. Non ci opporremo al Mes – questo il massimo della concessione – perché voluto dai nostri partner (Spagna e Portogallo, soprattutto), ma l’Italia non chiederà mai un euro. Il Mes, comunque, “non è una soluzione”: concetto ripetuto continuamente e riaffermato, proprio oggi, nell’intervista concessa a Il Corriere. Come pendant alle dichiarazioni di Vito Crimi: il Mes “è inaccettabile per l’Italia perché è uno strumento con delle condizionalità ed è inadeguato a questo tipo di emergenza”.
Da parte di Conte si è quindi assistito ad un vero e proprio irrigidimento, rispetto al possibilismo dei giorni precedenti. Vi hanno contribuito fattori diversi, che rischiano, tuttavia, di offuscare la luna di miele, imbastita nei giorni precedenti, con il Pd. Alla quale il premier aveva dato l’impressione di tenere in modo particolare. Determinate è stata l’iniziativa franco – tedesca nel prospettare la possibilità di procedere lungo la strada del Recovery fund, con una dotazione di 500 miliardi, da distribuire sotto forma di aiuti. Una “svolta importante” come si è subito affrettato a commentare. “La Germania – queste le sue parole – ha fatto un passaggio di portata storica. Accetta la logica del debito comune”. Quei 500 miliardi – ma “la Commissione può fare ancora meglio” – fanno impallidire i 240 che sono a disposizione del Mes. Quindi meglio non pensarci e mantenere le vecchie riserve. Che poi tutto ciò consenta di venir incontro ai 5 stelle è solo un vantaggio ulteriore, che non può che ingolosire.
Fin qui i giochi di palazzo. Che dovranno, ovviamente, fare i conti con le asprezze della prossima trattattiva europea. Non è detto, infatti, che la proposta di Macron e della Merkel passi indenne sotto le forche caudine della discussione in seno alla Commissione europea, dove Valdis Dombrovskis ha già messo le mani in avanti, o nel successivo Consiglio dei capi di Stato. Le previsioni dei bookmaker, al contrario, sono per un ridimensionamento non tanto per l’importo del Fondo, quanto per il mix tra prestiti ed aiuti. Paolo Gentiloni, captata l’aria, sta cercando, in tutti i modi, di smontare la rabbia degli irriducibili: Austria, Olanda, Svezia e Danimarca. Attenti, quindi, a non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso.
C’è poi un secondo aspetto da non trascurare. Ed è quello dello stigma. La maledizione che avrebbe colto coloro che, per primi avessero chiesto, l’intervento del Fondo. In parte una leggenda metropolitana. Che tuttavia ha spinto Paesi, come il Portogallo, la Spagna o la Grecia a dichiarare che non avrebbero chiesto quei finanziamenti, avendo a disposizione canali diversi. Per così dire: meno compromettenti. Difficile valutare la fondatezza di queste preoccupazioni. I mercati sono oggi molto più informati di qualche anno fa. Sono in grado di valutare la reale situazione finanziaria dei singoli Paesi, prescindendo completamente dalle scelte operative compiute. Chiedere l’intervento del Mes, in altre parole, non è il preannuncio di un’imminente fallimento. Il che spiega perché, alla fine, Cipro abbia deciso di rompere gli indugi ed avviare la pratica di richiesta del finanziamento.
Resta naturalmente l’avviso contrario degli altri Paesi Med. Nel valutare quelle opzioni, in relazione alla situazione italiana, si deve avere contezza della diversità delle situazioni. Il loro merito di credito – compreso quello greco – è migliore di quello italiano. Nel 2020, secondo la Commissione europea, la Grecia spenderà per interessi sul debito (ben più alto di quello romano) il 3 per cento del Pil, contro il 3,5 dell’Italia. Si comprende allora il minor interesse per finanziamenti agevolati, specie durante una fase, come l’attuale, in cui i giochi sono ancora tutti da fare. Wait and see: si dice in borsa, quando l’orizzonte è incerto. Mai quanto lo è quello della politica italiana.