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Cosa insegna il piano di Francia e Germania. La versione di Veronica De Romanis

Una gran bella pensata, che può salvare l’Europa, il piano franco-tedesco. Prima un fondo da 500 miliardi, poi da mille e poi chissà, la posta potrebbe salire ancora. Ben venga, dice a Formiche.net l’economista Veronica De Romanis: “Trovo che la messa in opera di un piano di rilancio per l’Europa sia un qualcosa di molto ma molto positivo”.

De Romanis, che ne pensa di questo piano franco-tedesco a base di sussidi?

Senza dubbio un qualcosa di positivo, è un passo molto importante fatto da due grandi Paesi, perché mette innanzitutto in campo contributi a fondo perduto e non prestiti. Risorse di cui l’Italia potrà beneficiare, anche se resta da capire la cifra finale che ci spetterà. Ora bisogna capire le conclusioni del Consiglio europeo di metà giugno.

L’Italia potrebbe beneficiare di queste risorse…

Sì e forse anche in misura significativa, perché è uno dei Paesi più colpiti. Inoltre questo è un passo avanti anche perché la cancelliera Merkel ha fatto una mossa politica importante. Può sfruttare la sua popolarità dovuta a una buona gestione della crisi. Va ricordato che Merkel è una scienziata. E forse la Germania non ha più la sindrome dell’azzardo morale, non ha più paura, ha capito che se vuole crescere, deve aiutare l’Europa. E questo non era scontato fino a qualche tempo fa.

La creazione di un debito federale è il primo passo verso gli Stati Uniti d’Europa?

Senza dubbio è un primo passo verso l’integrazione fiscale. Oggi abbiamo una unione monetaria ma non una unione fiscale. La messa in comune di nuovi strumenti vuol dire gettare le basi per un’integrazione fiscale. D’altronde l’architettura europea è incompleta, mancano dei pezzi. Non ci sono politiche comuni su molti fronti, anche la stessa sanità tanto per fare un esempio.

Mille miliardi, se davvero saranno tali, sono una bella cifra. Rischio di una distribuzione a pioggia ma senza orizzonti precisi?

Questo è un aspetto molto importante. Bisogna capire dove investire questi soldi, credo che Francia e Germania abbiano chiaro in mente che occorre diventare resilienti, e dunque non buttare denaro per finanziare, per esempio, quota 100, ma per fare riforme.

Ci sono quattro Paesi in Ue contrari al piano franco-tedesco. Un problema…

Ci sarà un negoziato, alcuni Paesi sono contrari a certi doni, sono Paesi piccoli che hanno paura, ma credo che un compromesso si troverà alla fine.

Il governo italiano è stato accusato di aver distribuito soldi a pioggia con il decreto Rilancio. In più il decreto Liquidità prevede prestiti, non sussidi. Quanto siamo lontani dall’approccio franco-tedesco?

Sì, siamo lontani. Mentre gli strumenti che mette in campo l’Europa affondano le radici nel binomio solidarietà-responsabilità, per giunta con indicazioni precise su come spenderli, in Italia abbiamo perseguito la strada dell’assistenzialismo: do un po’ a tutti ma senza responsabilità sull’uso dei soldi. Questa è la differenza che c’è.

De Romanis, se le dico Mes? 

Le rispondo che dobbiamo accettare questi aiuti. Stiamo discutendo del Mes da prima del coronavirus e ancora ne stiamo parlando, francamente è un lusso che non ci possiamo permettere. Quei 36 miliardi sono tantissimi per la nostra sanità, ora che le condizionalità sono state chiarite, ora che sappiamo che non ci sono monitoraggi, perché non li accettiamo?

I mercati però potrebbero capire che noi siamo in difficoltà, accettando il Mes…

Scusi, come se ne non lo sapessero. Non credo che abbiano bisogno del Mes per farsi un’idea. E poi c’è una questione di interessi: 36 miliardi a tasso zero sono molto meglio di 36 miliardi a tasso di mercato, che oggi è sull’1,8%. Si risparmierebbero miliardi. Conte provi a spiegare perché l’Italia non ha bisogno di questi soldi.

Qualcuno, banalmente, non si fida del Mes…

Lì entriamo nella psicanalisi, e allora bisogna fare delle domande a uno psichiatra.

Abbiamo parlato di fisco comune in Europa. Magari certe aziende non se ne andrebbero all’estero. Fca le dice nulla?

Guardi, come ha detto Conte certe imprese se ne vanno via per una questione di regole, che sono forse più semplici. Però l’unione fiscale serve perché alcuni piccoli Paesi hanno tasse basse perché non hanno spese elevate. L’Italia spende molto e male e dunque ha tasse elevate per restare in piedi. Non è un caso che dinnanzi a uno shock comune noi abbiamo avuto l’impatto più forte e negativo.

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