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Arriva il Mes. Ma l’Italia trema ancora sul debito

Il Mes può finalmente partire. O meglio, il Template response plan. Così l’Eurogruppo riunitosi questo pomeriggio lo ha ribattezzato, tanto per dare un nome più rassicurante. La sostanza però non cambia, il Meccanismo con cui prestare denaro agli Stati membri a certe condizioni (ma non per quanto riguarda la sanità), è stato di fatto approvato dai ministri delle Finanze della zona euro. Fosse finita qui però, si tratterebbe di un venerdì quasi normale (il Mes era stato nei fatti già approvato dal Consiglio europeo del 23 aprile). Invece no, per i conti pubblici italiani, già sotto stress da mesi, oggi è un giorno importante e l’Italia trema, ancora una volta. Perché questa sera arriverà il doppio giudizio sul nostro debito da Moody’s e Dbrs, americana la prima, canadese la seconda.

Le due agenzie di rating dovranno dire se intendono confermare il loro parere sul debito italiano. In altre parole, se siamo dei debitori affidabili o se, alla luce delle ricadute sull’economia in seguito all’epidemia causata dal coronavirus e sullo stato dell’economia, sono cresciuti i dubbi sulla nostra solvibilità. Un uno-due che arriva solo pochi giorni dopo i verdetti di Fitch (negativo) e Standard&Poor’s (positivo). Prima però, i risultati dell’Eurogruppo

MES AL VIA

Stando alle decisioni dei ministri delle Finanze, le linee di credito del Mes saranno operative a metà maggio. Per fortuna, non ci saranno programmi di aggiustamento macroeconomico richiesti agli Stati che usufruiranno dei prestiti del Meccanismo a patto che i fondi erogati vengano indirizzati alla sanità. Anche per questo la Commissione europea farà un monitoraggio sulle spese sanitarie dirette e indirette finanziate con i fondi del Mes nel quadro del semestre europeo di sorveglianza delle politiche di bilancio. Senza missioni speciali nelle capitali, senza Troika, per riferirsi al modello della sorveglianza sperimentato in Grecia e negli altri Stati salvati dall’Eurozona.

ITALIA A RISCHIO

Mes o non Mes per l’Italia comunque la situazione è delicata. E stasera, quando chiuderà Wall Street, potrebbe diventarlo ancora di più con i giudizi delle due agenzie di rating.  Al momento, la situazione è quella di stentato pareggio. Fitch ha bocciato il nostro debito senza se e senza ma, portandolo ad appena un gradino sopra il livello spazzatura (BBB-). Al contrario, S&P’s è stata magnanima, confermando il suo giudizio sull’Italia e definendo le prospettive del debito come stabili.

Certamente l’Italia non reggerebbe un altro downgrade, dopo quello di Fitch, per una serie di motivi. Primo, a fine 2020 il nostro debito avrà un rapporto rispetto al Pil pari al 155,7% e con un deficit di 170 miliardi, valori difficilmente raggiungibili. In più il Pil sprofonderà a -9,5%. Dunque le finanze pubbliche italiane, come ha ricordato pochi giorni fa dalle colonne di questa testata l’economista Gustavo Piga, hanno raggiunto il loro limite. Oltre non si può andare. Inoltre non c’è nuova ricchezza generata, ed è difficile finanziare il debito, a meno che non ci pensino i mercati. Mercati condizionati però proprio dai giudizi sul nostro rating. Insomma, un vicolo cieco o quasi. Perché al netto delle rassicurazioni della Commissione europea, e cioè che il nostro debito è sostenibile, almeno nel medio termine, sui conti italiani sono più le incognite che le certezze.

Non è certo un caso che la sola Fitch abbia condizionato l’atteggiamento degli investitori negli ultimi giorni, con lo spread che viaggia ormai a ridosso dei 250 punti di differenziale tra i Btp a dieci anni e l’equivalente Bund tedesco: in pratica, il governo italiano deve offrire un tasso del 2,5% più alto dei titoli pubblici della Germania per convincere gli investitori a comprare i nostri titoli di debito. Non è finita.

LA MINA TEDESCA

C’è un altra spada di Damocle sui nostri conti, quella della Corte costituzionale di Karlsruhe. La Bce, certo, ha già chiarito ieri che la giustizia tedesca non può e non deve condizionare le scelte operative della Banca centrale, Qe incluso. E sì, la Bce ha aperto un paracadute, rendendosi disponibile anche a comprare titoli junk, qualora necessario.

Ma la sentenza tedesca, anche se è giuridica e non certo politica, è secondo alcuni, compreso il potentissimo ex ministro delle Finanze tedesco e oggi presidente del Bundestag, Wolfang Schauble, destinata ad avere un’influenza sull’operato della Bce che ha tre mesi di tempo per dimostrare la proporzionalità degli acquisti del Quantitative easing, programma di cui l’Italia è tra i maggiori beneficiari. D’altronde la stessa Bundesbank, la banca centrale tedesca, è una sorta di azionista forte della Bce.

E poi l’impatto psicologico sui mercati potrebbe essere diverso. L’aumento dello spread sovrano di 20-30 punti base da quando è emersa questa posizione, con i rendimenti dei Btp passati in pochi giorni da 1,7 per cento a quasi il 2 per cento, ci dice che sui mercati qualche timore c’è.

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