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Pure il M5S tuona contro il prestito Sace a Fca. Anche se…

Si fa presto a chiedere un prestito garantito dallo Stato Italiano, anche da 6,3 miliardi. Ma è davvero possibile per un’azienda che non ha sede legale in Italia e nemmeno quella fiscale. Un’azienda come Fca. Il caso dell’ex Fiat, che avrebbe chiesto un prestito garantito dalla Sace nonostante da anni versi parte delle tasse presso l’erario britannico, sta facendo molto discutere. La legge, ovvero il decreto Liquidità, parla chiaro, per beneficiare della garanzia pubblica serve la sede in Italia. Fca non ce l’ha ma la branch italiana, sì. E allora se, e con ogni probabilità sarà così, il prestito sarà chiesto da Fca Italy (sede a Torino), allora l’ostacolo verrà aggirato.

Cosa dice la legge? “Il decreto Liquidità”, che istituisce i finanziamenti con garanzia pubblica per l’emergenza Covid-19, “prevede delle caratteristiche specifiche per poter accedere alla garanzia di Stato: tra queste sede in Italia e riferimento esclusivo al fatturato Italia, nonché attese di destinazione degli investimenti e finalità del finanziamento rivolte sempre a supporto dell’attività in Italia. Quindi ogni eventuale richiesta di garanzia viene valutata e accettata solo nel caso siano rispettate tutte le caratteristiche previste dalla norma”, fa notare una fonte molto qualificata a Formiche.net.

E in effetti, a leggersi il testo del decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, sembra proprio così, perché i soggetti destinatari della garanzia sono proprio le imprese aventi sede in Italia, diverse dalle banche e altri soggetti autorizzati all’esercizio del credito. L’articolo uno del provvedimento per le imprese parla chiaro quando premette la necessità di “assicurare la necessaria liquidità alle imprese con sede in Italia, colpite dall’epidemia Covid-19”. Insomma, tecnicamente ci sono dei dubbi sull’operazione. Ma, c’è un ma. Come detto, a chiedere il prestito sarà con ogni probabilità Fca Italy, la società di diritto di Fca, che la sede in Italia ce l’ha eccome. In quel caso il problema potrebbe essere aggirato e dunque risolto.

Questo però non mette a tacere il dibattito politico. Sorprende – spiega a Formiche.net Ettore Licheri, presidente della Commissione Affari Ue del Senato in quota M5S – che solo ieri L’Ad di intesa Sanpaolo (l’istituto con cui Fca starebbe trattando il prestito, ndr) auspicasse il ritorno in Italia delle aziende che hanno spostato la sede all’estero per un vantaggio fiscale, ed oggi acconsente il finanziamento di FCA che ha sede fiscale a Londra e sede legale ad Amsterdam. Incoerenza, opportunismo? Diciamo che si tratta di una delle mille aporie di un sistema fiscale europeo tutto da riscrivere”.

Secondo Licheri, il problema è infatti di natura europea. “È bene sapere che, malgrado l’Olanda ed il Regno Unito portino avanti da anni una politica fiscale aggressiva, entrambe non sono qualificabili “tecnicamente” come paradisi fiscali. Una icastica ipocrisia che frutta enormi ricavi ai due Paesi ed incalcolabili danni alle altre economie europee. Un’ipocrisia che non permette di sollevare obiezioni alla correttezza dell’operazione FCA. Ma attenzione, se l’Europa tollererà ancora queste iniquità  non sarà difficile per chiunque intravedere l’epilogo della sua stessa esistenza”.

Su Twitter il vicesegretario dem, Andrea Orlando, scrive che “senza imbarcarci in discussioni su che cosa è un paradiso fiscale credo si possa dire con chiarezza una cosa: un’impresa che che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano riporta la sede in Italia. Attendo strali contro la sovietizzazione e dotti sermoni sul libero mercato” mentre, sempre su Twitter l’ex ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, fa notare come la sede legale e fiscale deve “ovviamente tornare a Torino. Perché altrimenti andremo sul surreale”.

“Condizioniamo l’aiuto dello Stato per imprese alla residenza giuridica e fiscale in Italia, a cancellare i dividendi non per un anno, ma fino a quando le garanzie dello Stato per essi immobilizzate non vengono liberate”, scrive invece il deputato di Leu, Stefano Fassina, sul fattoquotidiano.it. “1 miliardo di euro per Agnelli, Elkann e soci comodamente residenti in paradisi fiscali. 1 miliardo di euro per milioni di famiglie in guerra contro la povertà in Italia. 1 miliardo di euro è, pià o meno, la garanzia dello Stato assorbita da Fca per ricevere 6,3 miliardi di prestiti da Banca Intesa. 1 miliardo di euro, anzi un po’ meno, è quanto assegnato al Reddito di Emergenza (Rem) per almeno tre milioni di persone. Tutte le imprese vanno aiutate, anche le multinazionali. Ma senza aggravare un’ingiustizia sociale già insostenibile”.

Più cauto e meno emotivo infine, l’economista Marcello Messori, sentito dall’Agi. “Non c’è nulla di male che un’impresa chieda un finanziamento con la garanzia dello Stato, l’importante è che non riduca la sua attività e che venga valutata la portata dell’investimento rispetto alla sua capacità produttiva nel Paese”.  Bisogna “capire qual è la ratio economica per cui un’impresa chiede il prestito in garanzia. Ci troviamo di fronte ad un evento eccezionale, il Covid-19, e la garanzia concessa deve essere proporzionale all’attività produttiva e occupazionale. Se lo fosse, sarebbe legittimo. Se non lo fosse, cioè se ad esempio dopo qualche mese che ottiene il finanziamento garantito l’impresa smantellasse gli impianti, allora dovrebbe esserci una clausola che interrompa il finanziamento”.



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