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Giungla d’asfalto, compie 70 anni il prototipo poliziesco di John Huston

La sequenza iniziale di alcune vie di una cittadina deserta, mezzo immersa nella nebbia, post-atomica, nei suoi quartieri periferici, spogli e squallidi, dal bianco/nero asmatico, con una macchina della polizia che si aggira lentamente, come un corvo esitante nel planare, le voices over della radio, “Auto 31.36 … viale Lincoln, ferimento al terzo piano … Furto all’hotel de Paris … si cerca un uomo alto e biondo”, con un uomo, che improvvisamente, sbucato da una rientranza di una casa, dal passo furtivo, si ripara, appena nota la volante, dietro uno dei pilastri di cemento che sorregge un portico, è semplicemente paralizzante. Questo l’incipit di Giungla d’asfalto (Asphalt Jungle) di John Huston, proiettato in prima assoluto il 23 maggio 1950 al Grauman’s Egyptian Theatre di Hollywood.

Il film esce cinque anni dopo Hiroshima e Nagasaki, agli inizi della Guerra Fredda e in pieno “maccartismo”, ossia la hollywoodiana “Caccia alla streghe” lanciata dal senatore Mc Carthy (gli artisti in odore di comunismo, venivano processati e messi a tacere). Huston lo ambienta in una town (si ricorse ad alcuni brevi scorci di Cincinnati) di una immaginaria sperduta provincia americana, dove l’attuale delinquere, tarda eco dei ruggenti anni Venti, consiste in bische clandestine, furti e rapine a mano armata.

Il soggetto delinquenziale di “Giungla d’asfalto”, tratto dal romanzo di W. R. Burnett, è la storia di un colpo ad una gioielleria di alto rango, Bellettier’s, studiato nei minimi dettagli, ma andato a male per colpa del solito imprevisto, avrebbe fatto scuola. Sarà il prototipo di altri tre noti rifacimenti: Rififi (1955, Jules Dassin); Rapina a mano armata (1956, di Stanley Kubrick) e Strategia di una rapina (1959, di Robert Wise).

Tutto comincia quando un ex dignitoso carcerato esperto in furti di classe, banche e depositi, Riedenschneider (Sam Jaffe), chiamato “il Dottore”, con in testa un “piano perfetto”, per un furto di preziosi, cerchi dei professionisti per realizzarlo. Tramite il responsabile di una illegale sala di scommesse sui cavalli, Cobby (Marc Lawrence), del quale ha avuto il contatto durante la sua serena reclusione di sette anni (“mi occupavo della biblioteca in carcere, ero tranquillo”), viene introdotto nell’appartamentino dell’avocato Hugo Emmerich (Louis Calhern), dai modi fini e gentleman, ma in realtà legato ad ambienti criminali. Riedenschneider presenta il suo innovativo piano.

Si tratta di raggiungere il luogo da scassinare attraverso un itinerario originale: attraversare le viscere della città, percorrendo la ben tenuta rete fognaria, corredata di un comodo marciapiede. Poi, giunti nei pressi del deposito di preziosi, praticare un foro su una parete, aprire un cancelletto interno, evitare di impattare negli invisibili raggi elettrici (i nonni del laser) collegati all’allarme e, infine, con un po’ di nitroglicerina liquida, far saltare l’austera bocca della copiosa cassaforte, calda culla dei gioielli, per un valore di mezzo milione di dollari.

Emmerich è subito conquistato dal piano. Non solo procura i denari per finanziare l’operazione (che non ovviamente non ha: li chiederà al biscazziere Cobby), ossia pagare i professionisti in anticipo, acquistare un’auto, ecc. Ma si offre anche come ricettatore dei preziosi. Per il colpo, dunque, servono persone fidate. Uno bravo scassinatore di cassaforte (l’italo americano Luigi), una autista (Giulio, il gobbetto, un barista amico dei delinquenti del quartiere, ma persona leale) e un buon tiratore in caso di necessità (si opterà per l’uomo dell’incipit del film, quello che fuggiva dopo una rapina, Dick (Sterling Hayden, al tempo popolare, quanto Louis Calhern). Appena chiuso il colpo il “Dottore” e Dick porteranno i preziosi a Emmerich, il quale darà loro l’ingente corrispettivo in dollari. Il Dottore sogna di andare in Messico dove “sono belle ragazze” (ha un debole per quelle latino-americane) e Dick nel Kentucky, per ricomprare la tenuta dei genitori, suo assillante desiderio: “la città ti insozza”, ripete sovente. (E, per questo sogno, Dick gioca alle scommesse, sperando di vincere e ricomperare la tenuta; ma perde, ed è “costretto” a commette furti e rapine, per tornare a giocare).

Appena Cobby e Reidenschneider escono dall’appartamento, Huston ci porta nel salottino a farci conoscere una ragazza bionda, Angela, sonnecchiante su un divano: Marylin Monroe al suo esordio cinematografico. Lei lo saluta “zio Ugo”, ma l’uomo le dice che non deve più chiamarlo così. La censura del tempo impose che tra i due non accadesse nulla, solo il bacio della buonanotte. Ma l’allusione è chiara. Huston fa indossare alla Monroe un pigiama-tuta, delicatamente rigato, piuttosto aderente, e fa muovere l’attrice sensualmente, quasi al rallenty, mentre va a letto nella sua camera. Nel taglio seguente, vediamo Emmerich che rientra nella sua grande magione, con tanto di servitù e moglie allettata, sembra per esaurimento nervoso. Lo spettatore, successivamente, capirà che l’avvocato è vicino al lastrico, dovendo mantenere due case, moglie e amante, servitù, automobili.

Ovviamente “Giungla d’asfalto” si snoda, grazie all’asciutta sceneggiatura di Ben Maddow e dello stesso Huston, come tutti i film polizieschi, con un felpato montaggio alternato tra l’attività della messa in opera del “colpo perfetto” (progetto ed esecuzione), e alcuni rapidi accenni al lavoro della polizia che, come da copione, entrerà in campo nel sottofinale e nel finale.

Tutto procede bene per il colpo. Ma ecco gli imprevisti. Dopo aver fatto saltare la cassaforte, il boato, per quanto isolato e attutito nel seminterrato, raggiunge i palazzi nella strada di fronte e scatta un allarme. Luigi, Dick e il Dottore, con la refurtiva, affrettano la fuga. Si presenta il secondo intoppo. Sta arrivando la guardia giurata per il giro notturno. Dick, lo colpisce con un pugno, per disarmala; la pistola dell’uomo, cadendo in terra, fa partire un colpo che fatalmente raggiunge Luigi. Giulio, lo porta in casa, da sua moglie, cercando di curarlo, mentre si attende il medico. Nel frattempo il solito poliziotto (il tenente) che conosce Cobby, come suo confidente, capisce che questi sa qualcosa e, a forza di schiaffoni, lo fa parlare. La polizia stringe il cerchio. È una corsa contro il tempo per gli autori del colpo. Dick e il Dottore si recano da Emmerich per consegnare i gioielli e ricevere il denaro, come da accordi. Emmerich li attende, stranamente, con un amico, un detective privato corrotto, Bob Brannon (Brad Dexter). L’avvocato chiede di vedere le pietre preziose: dopo la visione e averle toccate, l’acquolina cresce in Emmerich e Brannon. Emmerich, improvvisamente, appare esitante, dice al Dottore che non è riuscito a trovare tale ingente somma in così poco tempo. Chiede di lasciare lì la borsa, ma Dick, mangia la foglia e quando Brannon spara, anche Dick estrae e risponde colpendo il detective a morte e rimanendo ferito ad un fianco. Emmerich, con un morto in casa, si rivela insicuro e tremante, confessa che è sul lastrico. Ma il Dottore gli dice di cercare di vendere i preziosi alla assicurazione che potrebbe pagarli almeno per un quarto del valore. Si accordano. Ma, poi, anche ciò sfumerà.

Siamo nel sottofinale. Dick e il Dottore si tengono i preziosi. Con la polizia alle calcagna, i due riparano nell’appartamentino di Olga (Jean Hagen), una amica di Dick, ex ballerina di avanspettacolo disoccupata, segretamente innamorata di questi (ma Dick, ossessionato dal gioco, non l’ha mai notato). Si accordano. Il Dottore prenderà con sé i preziosi e cercherà di raggiungere Cleveland per venderli, poi invierà la sua parte a Dick, in Kentucky, dove questi, fatta acquistate una vettura da Olga, intende riparare. Si separano. Il Dottore lascia l’appartamentino, con il suo cappotto e cappello di feltro. Lo vediamo, insieme a Dick, dalla finestra, in semiplongée, che cammina in strada, con compostezza, da signore. Dick si prepara a lasciare Olga. La brava Jean Hagen, inaspettatamente, sgrana gli occhi, tende i muscoli del viso, tira fuori il suo carattere e gli dice: “Non puoi guidare fino in Kentucky in questa condizione! La ferita si è riaperta. Perdi sangue!”./ “Non puoi venire con me sono ricercato per omicidio!” Olga insiste, con sguardo di fuoco e d’amore: “Non ti lascio! Non mi importa!”. Dick, è stordito, forse non ha mai ricevuto una dichiarazione d’amore, che non sia da parte di un cavallo: “Non capisco”. Solo ora l’uomo realizza che oltre al “Dottore”, l’unica persona che tiene a lui è Olga.

Intanto, il Dottore, in fuga in taxi, si ferma in un bar sulla strada, ormai lontano dalla città. Ma fa l’errore di trattenersi a vedere una bruna ragazza che balla alla musica del jubox. Anzi, offre alla ragazza, e ai due ragazzi suoi amici, delle monetine per altra musica. Il tempo di un disco e fuori dalla finestra del bar si materializzano due poliziotti. Viene riconosciuto, perquisito e, nel cappotto che ha in mano il taxista, e che sembra per un momento quasi fuori pericolo, uno dei due poliziotti, afferratolo, fa suonare le pietre preziose. Arrestato.

Dick e Olga sono in auto. Huston alterna i primissimi piani della coppia, accarezzati dal sole, sofferenti ma belli da morire. Pare un viaggio di nozze sognato. Siamo nelle campagne del Kentucky. Dopo chilometri e chilometri l’auto si arresta davanti alla ex tenuta della famiglia di Dick. La dolce giornata di primavera sembra stia facendo il possibile per assecondare un sogno irrealizzabile. Dick scende, a fatica, apre il cancello fatto di assi di legno, va verso il centro del pascolo. Lo vediamo in campo medio. Ci sono dei cavali liberi, al pascolo. Improvvisamente crolla a terra. Olga gli corre dietro chiamandolo in lacrime. Si accuccia su di lui, lo scuote, lo chiama ancora, piange. Poi si alza e corre di nuovo, disperata, verso il fondo del prato, con due case immerse nel verde, a chiedere aiuto. Un cavallo, e due puledri, vanno intorno al corpo di Dick, con le teste chine, delicatamente, come a salutarlo, ad accarezzarlo. Titoli di coda in sovraimpressione: “The End”.

“Giungla d’asfalto” aveva l’intenzione di mostrare per la prima volta al cinema. il volto buono di chi delinque. Infatti, tutti i protagonisti, ad eccezione di Emmerich e di Brannon, vogliono tornare a una vita normale, purtroppo attraverso un atto illegale. Insomma, fare un colpo e mettersi a posto. Olga, che si sente “insudiciata” dalla vita cittadina, sogna, ma non lo dice, una famiglia con Dick; questi intende fuggire dalla sporca città “che ti insudicia” e tornare in campagna ad allevare cavalli; Luigi, piccolo ladruncolo (la ferita lo porterà alla morte), delinque per arrotondare, ha moglie e figlio in culla; Giulio, il barista gobbo, aiuta i piccoli delinquenti perché è un buono e loro sono dei poveri diavoli. Anche il biscazziere Cobby (Marc Lawrence), non è un cattivo, non uccide né invia sicari per riscuotere i debiti, cosa che invece fa l’avvocato Emmerich. Ecco: l’avvocato rappresenta il male voluto, coscientemente. E di fronte all’arresto si uccide prima che il poliziotto intervenga (Huston, per motivi di censura, dovette ricorrere alla figura retorica della sinestesia, sentiamo solo lo sparo: oggi tale soluzione, dopo anni di morti ammazzati e scene splatter, appare ancora più fine).

Non sappiamo se John Huston (“Freud, passioni segrete”, 1962; “La Bibbia”, 1966; “007 James Bond – Casino Royale”, 1967; “L’uomo dai sette capestri”, 1972; “L’agente speciale Mackintosh”, 1973; “The Dead- Gente di Dublino”, 1987 ecc.), regista dalla fine cultura, avesse in mente una lettura “biblica” del romanzo di Burnett. Però, non è escluso vedere in Olga una figura alla Maddalena; Dick, Luigi e Giulio come dei ‘buoni ladroni’ che delinquono per raggiungere un sogno (Dick), perché hanno famiglia (Luigi), o per bontà (Giulio), tutti per rimettersi sulla “retta via” evocata dal Vangelo. Emmerich, invece, è il cattivo ladrone, oltre che l’unico dedito all’adulterio con una ragazzina, che sceglie la fine di Giuda perché ha paura del carcere, della giusta punizione, che invece il “Dottore” accetta con dignità.

E che dire della svampita Angela (Marilyn Monroe)? Certo, esordire nella parte, con poche pose, della ragazzina mantenuta dal maturo e corrotto avvocato, e anche infedele (Emmerich rivolto a Brannon: “Stasera Angela è fuori”/ Brannon: “Chissà cosa sta facendo! Quando sono ubriaco dico la verità”), ossia un Maddalena non pentita, era esordio rischioso, alla fine degli anni Quaranta. Ma, intanto, l’angelo caduto Marilyn, finito giù dal Paradiso Terrestre in un appartamentino equivoco, con poche battute, i suoi candidi sorrisi, il suo sguardo invitante, il suo impercettibile allusivo ancheggiare, grazie alla direzione di Huston, si era fatto notare. Di lì a poco sarebbero arrivati i primi veri ruoli e successi: “Eva contro Eva” (1950) e “Niagara” (1953).


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