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Patrimoniali? No, grazie. Investiamo sulla crescita. Parla Ettore Gotti Tedeschi

L’impresa al centro, anche perché se l’Italia ha un problema non è tanto il debito pubblico, quanto il Pil. Ettore Gotti Tedeschi, banchiere di lungo corso con un passato ai vertici dello Ior e nel board di Cdp, dice la sua in merito all’appello firmato da Giulio Sapelli, Gaetano Cavalieri, Marco Gervasoni, Corrado Ocone, Antonio Pilati, Aurelio Tommasetti, Giorgio Zauli, per un’Italia che riparta dai suoi fondamentali: le imprese, le famiglie, in una parola, la produttività.

“Io sono totalmente d’accordo con il senso del manifesto, ci mancherebbe altro. Anzi lo avrei firmato anch’io”, premette il banchiere. “Avrei proposto di considerare solo alcune riflessioni, per l’esattezza tre. La prima: che significa sostenere la crescita della nostra economia privata, i nostri produttori, nel contesto di cambiamenti necessari della globalizzazione? La seconda: che significa avere un governo che sappia affrontare i problemi urgenti? La terza: il tema del debito pubblico?”.

Una premessa semplificativa. “Abbiamo fatto errori legati alla deindustrializzazione del Paese, con eccessive e spesso errate delocalizzazioni e la perdita di grandi imprese trainanti (per esempio l’automobile). Ma abbiamo alcuni vantaggi competitivi: le medie imprese italiane che tutti ci invidiano ed il risparmio delle famiglie”.

TRA GLOBALIZZAZIONE E INTERESSE NAZIONALE

Gotti Tedeschi pone un tema, la globalizzazione. “Il manifesto lascia immaginare la fine di una certa globalizzazione. Certo, va gestita nell’ottica di rilanciare le nostre imprese, il nostro sistema industriale. Per riuscirci però io devo prima capire quali sono gli input e gli output di questo sistema”, spiega il banchiere. “Ciò perché non si potrà mai prescindere dalla interrelazione con molti altri mercati. Il caso della Regione Veneto e della sua spinta alla riapertura è esemplare. Perché molte imprese del Veneto son in grande parte sub-fornitori della Germania. Quasi si direbbe che è una regione economica integrata alla Germania e questo spiega quanto siamo drammaticamente collegati ad altri sistemi industriali”.

Il punto è che “non abbiamo imprese trainanti da stimolare per un rilancio immediato, ma abbiamo regioni economiche trainanti. Va benissimo mettere al primo posto il rilancio delle nostre aziende e non ci devono esser dubbi che i nostri imprenditori privati sappiano loro che fare. Io credo solo che ci sia uno spazio elevato per una ripresa più rapida rimpatriando produzioni delocalizzate dove potremmo avere vantaggi competitivi nuovi, non legati solo al costo di produzione, ma alla qualità e grazie a tecnologie di cui disponiamo”. In questo senso la tecnologia “ci consentirebbe di compensare il basso costo della manodopera di altri Paesi”.

CERCASI POLITICA (CREDIBILE)

La politica però deve fare la sua parte. “In questo momento di trattative, si riconosce l’importanza di avere un governo credibile con i nostri partner europei. Ci sono Paesi europei convinti che non meritiamo troppa fiducia, perché siamo un Paese di evasori fiscali. Le accuse mosse all’Italia, di aver governi instabili, alto debito pubblico, altissimo sommerso ed evasione fiscale, vanno controbattute spiegando i vantaggi competitivi italiani che valorizzano l’Europa intera”.

Un esempio? “La Germania, probabilmente pensando anche al valore dell’euro verso il dollaro o altre valute, sta dimostrando di essere più vicina all’Italia, conscia anche del fatto che se la Germania oggi avesse il Marco sarebbe penalizzata, perché troppo forte. La Germania beneficia dunque di un euro frutto delle forze ma anche debolezze dei Paesi che lo compongono”.

LA BALLA DEL DEBITO PUBBLICO

Terza questione, il debito pubblico italiano, salito al 155,8% del Pil in conseguenza delle misure per il coronavirus. “A un certo punto del manifesto si parla del problema del debito pubblico. Il problema italiano non è l’alto debito pubblico, perché di una nazione va valutato il debito totale, includendo quindi anche il debito privato industria, finanza, famiglie. E la lezione americana del 2009 spiega che tutto diventa debito pubblico in una situazione di default. In più il nostro problema è la non crescita del Pil e conseguentemente la crescita del rapporto debito pubblico/Pil. Ed è bene ricordare che a inizio anni 2000 il debito pubblico/Pil era al 120%. Nel 2011 era stato ridotto al 100%”.

Tradotto, “è dal 2011 che grazie alle manovre di austerity il nostro Pil continua a crollare, verso invece la crescita del Pil dei partner europei. Salendo il debito pubblico (pre-Covid) fino al 135% del Pil. Ma ciò perché si è riusciti a far crollare la crescita del Pil pro-capite italiano. Questo lo spiega l’Ocse, non Topolino”.

Una conclusione? Il messaggio del manifesto “è perfetto. Manca solo la raccomandazione di non pensare neppure a fare patrimoniali ora. Si pensi piuttosto a rendere attraente l’investimento di risparmio italiano nella ripresa italiana, domestica, per creare crescita Pil, crescita occupazione, tasse pagate e quindi diminuzione debito pubblico”.


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