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Lascia o raddoppia. Perché Gualtieri tenta il jolly di Stato su Ilva

Le conclusioni dell’incontro interlocutorio svoltosi lunedì in conference call fra i ministri Gualtieri, Patuanelli e Catalfo, i Commissari straordinari, la Dott.ssa Morselli in rappresentanza di AM invesco Italy e i sindacati sulle sempre più stringenti questioni dell’Ilva sono apparse del tutto deludenti non solo ai loro dirigenti, ma anche a molti osservatori che hanno iniziato a conoscere la storia e a seguire le cronache del Siderurgico ionico dal 26 luglio del 2012, giorno in cui, com’è noto, venne posta sotto sequestro senza facoltà d’uso la sua area a caldo.

Le opinioni manifestate da Fim, Uilm e Fiom sono pienamente comprensibili e soprattutto devono tener conto della crescente mobilitazione di operai e tecnici dei siti di Taranto, Genova e Novi ligure, esasperati non solo dall’ormai estenuante protrarsi di conflitti, recessi, trattative, accordi, e sopravvenute ridiscussioni, di intese sottoscritte il 4 marzo in Tribunale (con il favore del governo) fra Arcelor e la gestione commissariale, ma dai comportamenti operativi della signora Morselli e dei componenti del suo staff che, per quanto dettati da indiscutibili circostanze oggettive, stanno rivelando (purtroppo) da parte loro la mancanza di uno standing professionale idoneo a gestire un big player come l’Ilva e un grande stabilimento come quello di Taranto, in cui ci sembra ormai stridente il contrasto fra chi lo guidò con successo negli anni delle Partecipazioni statali e poi nel ventennio dei Riva e l’attuale management. A completare un quadro di estrema tensione si aggiungano i problemi delle aziende dell’indotto che lamentano forti ritardi nel pagamento di fatture emesse per lavori già eseguiti.

Ma al di là di considerazioni personali sui manager in servizio, se si leggono attentamente le dichiarazioni rilasciate nel corso dell’incontro da alcuni partecipanti, è del tutto evidente che qualche paletto molto saldo per il futuro del Gruppo e della fabbrica di Taranto è stato posto, in primo luogo dal ministro Gualtieri che obbligherà Arcelor o a rispettarlo integralmente, o a gettare la spugna, senza se e senza ma. Cosa ha dichiarato infatti il titolare dell’economia? Citiamo testualmente: “Lo Stato è disponibile a intervenire direttamente per avere un’Ilva forte, che produca tanto, che sia leader mondiale, che abbia 10.700 occupati, che faccia investimenti significativi con l’intervento dello Stato diretto e indiretto”. Parole chiarissime quelle del ministro sul ruolo che il gruppo deve tornare ad assolvere sullo scacchiere competitivo nazionale e mondiale, parole che lui stesso poi non potrebbe rimangiarsi, e alle quali la Dott.ssa Morselli ha dovuto rispondere bon gré mal gré che anche Arcelor vuole “rispettare gli impegni presi, che vuole mantenere l’integrità degli impianti di Taranto e la loro importanza a livello europeo”. Affermazione dalla quale traspare la persistente consapevolezza (forse a denti stretti) del management e della proprietà del gruppo francoindiano che una grande acciaieria a ciclo integrale come quella ionica – se ammodernata e rilanciata con tecnologie innovative ed ecosostenibili e soprattutto portata ai massimi livelli produttivi della sua capacità, una volta completati (finalmente) i lavori dell’Aia – non avrebbe rivali in Europa per qualità di prodotti e prezzi e ne avrebbe pochi nel mondo.

Allora la Morselli, forse spiazzata dalle parole di Gualtieri cui ha dovuto rispondere nel modo in cui si è appena detto, ha chiesto ancora “una decina di giorni” per la presentazione del piano industriale che, a questo punto, o rispecchierà quanto affermato (seccamente) dal ministro italiano, o vedrà Arcelor ritirarsi, sapendo però, lo si ripete, che uno stabilimento come quello tarantino, se innovato e ben gestito, darebbe filo da torcere alle produzioni europee della holding francoindiana e di altri concorrenti.

Il governo dunque nella persona del suo ministro dell’Economia ha posto con forza sul tavolo le condizioni per un ingresso dello Stato nella società e probabilmente ha parlato (implicitamente) non solo a qualche altro componente dell’esecutivo, ma anche a molti parlamentari soprattutto dell’area ionica.

Allora questa, a nostro avviso, è la partita vera che si aprirà fra esecutivo italiano e Arcelor: una partita molto forte, e non certo per deboli di cuore, che probabilmente sarà anche molto dura nel suo svolgimento, ma nella quale il nostro governo deve giocare alla grande, senza bluffare, pena un crollo di credibilità agli occhi di sindacati, aziende dell’indotto, banche creditrici, imprese del Nord utilizzatrici dell’acciaio di Taranto e acquirenti esteri.

Una partita che, è bene sottolinearlo, per la sua portata nazionale ed europea rende del tutto irrilevanti le affermazioni del sindaco del capoluogo il quale invece, in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi ad una testata regionale, parla ormai esplicitamente di chiusura totale del Siderurgico, illudendosi che il futuro sviluppo economico della sua città  – che è parte integrante del sistema industriale nazionale – possa essere affidato solo alle idee e ai programmi molto labili suoi e di qualche suo sedicente consigliere economico. In tale scenario, al contrario, risultano più che mai sagge le parole dell’arcivescovo monsignor Santoro che non si stanca di sottolineare la necessità e l’urgenza di coniugare tutela della salute, dell’ambiente e del lavoro, grazie anche ad un’Ilva pienamente risanata e competitiva.

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