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Giusto tagliare l’Irap, ma senza soldi le imprese muoiono. Parla Di Taranto

Il governo è pronto a calare l’asso fiscale, che risponde al nome Irap. Salvo clamorosi dietrofront, il decreto Rilancio, giunto alle battute finali, porterà in dote lo stop al pagamento dell’acconto dell’imposta sulle attività produttive di giugno.

Si tratta di una delle tasse più sensibili per un sistema industriale fatto soprattutto di pmi. E così, tra i 258 articoli del decreto, dovrebbe trovare spazio uno sconto Irap per le imprese sopra i 5 milioni di fatturato che accusano perdite da Covid-19, e che può valere circa 2 miliardi sui 10-12 di gettito Irap annuo.

Soldi con cui lo Stato ogni anno finanzia il grosso della spesa sanitaria nazionale. Ma le pressioni di Italia Viva e della Confindustria di Carlo Bonomi per dare ossigeno alle imprese potrebbero avere avuto la meglio.

C’è il rovescio della medaglia, ovvero il grosso ritardo con cui la liquidità prevista dal decreto Cura Italia e da quello Liquidità sotto forma di prestiti garantiti dallo Stato sta affluendo alle aziende. Se da una parte si interviene sulle tasse, e dunque sulle uscite, dalla parte delle entrate si registrano criticità. Formiche.net ne ha parlato con Giuseppe Di Taranto, docente Luiss e storico dell’economia.

Di Taranto, il governo con ogni probabilità abbonerà l’acconto Irap di giugno. Mossa felice?

Direi di sì, ogni scelta che va incontro alle nostre imprese è ben accetta e questa è una di quelle. Il problema è che i contenuti dei decreti devono essere attuati. Lo stiamo sperimentando, ahimè, sulla liquidità alle imprese. Pensiamo solo alle mascherine. Dicono che dobbiamo metterle e poi non ci sono. E allora dico bene l’Irap, ma diventi la realtà, tangibile. Niente scherzi. In ogni caso, il vero problema qui è forse un altro.

Sarebbe?

Che alle imprese bisogna dare capitali a fondo perduto. Punto. Il nostro deficit e il nostro debito aumenteranno, ma è giusto che sia così in questo momento. Altrimenti le nostre imprese non si riprenderanno. Ricordiamoci che questa crisi sarà peggio rispetto al 2008 e se non agiremo per tempo, rischiamo di desertificare il nostro Paese. Lei si rende conto che c’è in gioco il Paese? I nostri giovani? Le aziende rischiano un vero impoverimento, che finirà per deprezzarle.

Dunque soldi subito e senza contropartite?

Sì, o pagheremo un conto ancora più salato. Sa cosa rischiamo? Che le imprese siano svendute all’estero, perché non hanno più il valore di prima, soprattutto le piccole. E questo un Paese che vive di impresa come può permetterlo? Ecco allora che tagliare le tasse va bene, ma non basta. Non in questi tempi, almeno. In questo momento l’imperativo è dare liquidità. Se poi si tagliano le tasse, meglio.

L’Europa sembra finalmente sintonizzata con i problemi reali. Illusione ottica?

No, nessuna illusione, almeno per ora, ma a un patto. E cioè che si dia la giusta scala di valori. Più che il Mes qui c’è da aver paura del ritorno ai parametri del Patto di Stabilità. Lo dico perché se ora che c’è l’emergenza allentiamo i vincoli ma poi li restringiamo di nuovo tornando alle vecchie regole è la fine. Il vero pericolo in Europa è questo: il ritorno al passato, a regole che non hanno più senso e che hanno distrutto economie, inclusa la nostra.

Di Taranto, il governo ha deciso di puntare, mediante Cdp, a un fondo da 50 miliardi con cui sostenere le aziende di una certa dimensione. Lei che ne pensa?

Io sono d’accordissimo con lo Stato dentro l’economia, purché si rimanga nel perimetro keynesiano. L’Iri, non dimentichiamocelo, fu un esempio di quanto lo Stato fosse prezioso per l’economia. Attenzione però a non confondere un intervento dello Stato dentro le imprese, lì sono un po’ più perplesso.

Perché?

Perché le nostre imprese vivono di brand e di buona imprenditorialità, e mi creda ne abbiamo da vendere. E allora dico: se uno Stato vuole aiutare le imprese con capitali a fondo perduto va benissimo. Se parliamo di ingresso nel capitale serve cautela. Il tessuto industriale italiano è fatto da pmi, meglio continuare con una gestione privata.

In questi giorni le banche sono state spesso tirate in ballo e accusate di prestare denaro senza la dovuta celerità. Non le pare un po’ ingiusta come critica?

Le rispondo così: le banche sono il sangue del sistema economico. Non dimentichiamo che sono state distrutte dalla crisi del 2008, comprendo benissimo una certa cautela. Il prestito va concesso ma dinnanzi a un imprenditore moroso la cautela è d’obbligo.

Chiudiamo sull’Europa, ancora. La Germania potrebbe essere messa in stato di infrazione, dopo la sentenza sul Qe della Bce. Non capita tutti i giorni. Fine di un’epoca?

Me lo auguro, francamente. La Germania si può permettere di finanziare i danni della pandemia, ma da dove arrivano i capitali? Glielo dico io, dal non rispetto dei vincoli di bilancio. Lo stesso Jean Claude Junker, che non era certo uno docile, ha detto più volte che la stessa Germania ha violato il Patto di Stabilità. E poi, sappiamo benissimo che la Germania si è arricchita con l’euro. Dunque non vedo perché una simile egemonia non debba finire.

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