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Libia, perché perdere al Watiya è un colpo durissimo per Haftar

“Al Watiya è caduta, e adesso la utilizzeremo come grande base congiunta con la Turchia, che ci sposterà gli F-16”, dal Governo di accordo nazionale di Tripoli, Gna, una fonte commenta così l’ultima avanzata delle proprie truppe, che dalla difesa sono passate al contrattacco sul signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar.

La base, che si trova tra Libia e Tunisia, è stata dal 4 aprile dello scorso anno il principale dei punti di appoggio per l’avanzata sulla capitale con cui Haftar voleva intestarsi il Paese. Campagna militare che però adesso è in crisi. Il mese scorso il capo miliziano della Cirenaica ha perso il controllo di tutta la parte occidentale attorno a Tripoli, che ora non è più accerchiata sul lato verso la Tunisia. Poi è retrocesso anche a sud e a est, dove si trova e Tarhouna. La prima è caduta dopo un lungo assedio risoltosi stamattina, l’altra è ancora circondata perché i capi politici di Misurata – città che difende il governo di Tripoli – hanno chiesto di trattare con le tribù locali; le due città sono sempre state rivali, ma tre le rispettive famiglie c’è rispetto reciproco, e i misuratini non vogliono sfondare per evitare un bagno di sangue.

Secondo le fonti Formiche.net, qualcosa  di simile sarebbe avvenuto domenica, in serata, lungo il perimetro della grande base di al Watiya quando i miliziani della Tripolitania avrebbero concesso alle forze di Haftar di lasciare la base prima di entrare. Si parla di trattative con le forze di Zintan (e di Al ), ma non è possibile confermarle definitivamente e in questa fase l‘infowar da entrambi i fronti è molto spinta. Zintan è una città particolare, indipendente dal governo di Tripoli, non riconosce nemmeno le entità politiche finora collegate ad Haftar, né tantomeno il capo miliziano: alcune milizie locali tuttavia si sono schierate distribuendosi su entrambi i fronti.

Altre fonti libiche riferiscono a Formiche.net che il colpo su al Watiya “è durissimo per Haftar e potrebbe costargli l’intera offensiva”. Ormai è praticamente isolato a centinaia di chilometri da casa e ha difficoltà a gestire gli aiuti provenienti dai suoi sponsor esterni – Emirati Arabi (soprattutto), Egitto (anche se attualmente in modo meno convinto), e Russia. E il motivo per cui i rifornimenti arrivati a Bengasi nelle passate settimane non stanno fluendo verso la Tripolitania è che il Gna ha ottenuto una superiorità tecnica. Grazie all’accordo stipulato con la Turchia a novembre dello scorso anno, ora le forze di Tripoli hanno il controllo dei cieli e i droni turchi che difendono il governo onusiano stanno martellando con costanza tutte le linee di rifornimento.

Domenica 17 maggio sono circolate diverse immagini che riprendevano attacchi aerei contro due sistemi Pantsir, che gli Emirati Arabi avevano fatto in modo di spostare verso la Tripolitania per difendere le unità haftariane (i Pantsir sono batterie contraeree semoventi dotate di radar per intercettare più bersagli contemporaneamente; sono prodotti dalla Kbp di Tula). Teoricamente sarebbero dovuti servire a ristabilire l’equilibrio nei cieli, visto che i turchi non solo attaccano, ma hanno anche unità di difesa aerea molto efficaci che hanno impedito ai droni usati dagli emiratini di coprire l’avanzata su Tripoli come fatto nei primi mesi. Praticamente i Pantsir russi sono stati distrutti prima ancora di essere operativi dai raid turchi. Un terzo mezzo è stato ritrovato ad al Watiya.

È un aspetto, questo, che aggiunge un’ulteriore complessità di carattere geopolitico. La Turchia è recentemente rientrata all’interno di una scia molto atlantista anche in chiave anti-russa, e la conferma è in due telefonate recentissime. Tre giorni fa, il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha avuto una conversazione con il presidente Recep Tayyp Erdogan in cui ha confermato la centralità del ruolo di Ankara nell’alleanza – anche nel quadro dell’assistenza che la Turchia ha fornito ai membri Nato nella gestione della pandemia – e ha avanzato l’ipotesi che gli alleati diano supporto alla costruzione delle forze di difesa tripoline. La seconda telefonata è stata tra Stoltenberg e Fayez Serraj, leader del Consiglio presidenziale di Tripoli e premier del Gna: le fonti di Formiche.net suggeriscono che la conversazione è stata facilitata da Erdogan, tant’è che i contenuti hanno riguardato proprio la “cooperazione e il coordinamento tra Nato e Libia” e le preoccupazioni sulla presenza russa dietro Haftar.

Da Tripoli gli stessi contatti governativi fanno sapere che a questo punto “l’avanzata continuerà”, e che nei prossimi giorni ci saranno “sviluppi nel fronte meridionale”: “Il Vulcano di Rabbia non si fermerà”, dicono – Vulcano di Rabbia è il nome dell’operazione di difesa proattiva contro Haftar, che a questo punto è diventa un’azione offensiva di riconquista. “Non si tratta della fine della battaglia”, ma di un momento importante verso “il giorno della grande vittoria”, ossia “la conquista di tutte le città della Libia e la sconfitta della tirannia che minaccia la speranza dei libici di costruire uno stato di diritto”, ha spiegato Serraj in una nota stampa. Il senso è chiaro. L’importanza del ruolo turco altrettanto: dozzine i raid che hanno aperto la strada alle milizie di Misurata, Zuwara e Zawiya. Inoltre, per comprendere come il conflitto si stia spostando dal fronte ristretto attorno a Tripoli in una proiezione ben più ampia, basta pensare che uno dei Pantsir distrutti è stato colpito a Sirte, centinaia di chilometri verso oriente.

La possibilità che la Turchia trasformi la base di al Watiya in un avamposto sul Mediterraneo, da cui poter controllare gli interessi che ha dimostrato per l’off-shore libico e per i campi pozzi più a sud è un aspetto centrale per i futuri equilibri nel conflitto. I rivali turchi, su tutti gli Emirati Arabi, potrebbero essere spinti a un ulteriore aumento di coinvolgimento. E su questa scia potrebbe inserirsi pure la Francia, che ha sempre avuto un atteggiamento ambiguo posizionandosi in forma non ufficiale sul lato haftariano e che con la Turchia ha una fase di relazioni piuttosto ostile (anche per il quadro dell’East Med, dossier geopolitico che s’è da tempo sovrapposto a quello libico). Dal Cremlino, è stata invece diffusa una nota su una telefonata tra Vladimir Putin ed Erdogan, secondo cui entrambi hanno espresso preoccupazione sulla crescita dei combattimenti in Libia.

(Foto: il Pantsir russo ritrovato dentro la base di Al Waitya)

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