L’ordinanza del sindaco di Brindisi con la quale è stata disposta la sospensione delle attività produttive della Versalis – con intuibili effetti a cascata sulle altre aziende coinsediate e su quelle che in filiera trasformano l’output del cracking – ha determinato come era facilmente prevedibile una ferma risposta in autotutela dell’azienda, una forte presa di posizione della Confindustria locale e una durissima risposta delle Organizzazioni sindacali di categoria che paventano rischi ormai imminenti sugli assetti occupazionali del sito che – è bene ricordarlo a chi lo avesse dimenticato o non lo avesse mai saputo – è uno dei cardini dell’industria chimica italiana. Scontato, invece, è apparso il plauso dello sparuto nucleo degli ambientalisti cittadini che, al di là delle sigle associative in cui si raccolgono, non hanno mai dichiarato almeno sino ad ora il numero dei loro iscritti effettivi.
Ma molto estesa è la preoccupazione fra tutte le imprese del vasto indotto manutentivo e di altri servizi all’impianto con i loro addetti, negli uffici dell’Autorità portuale – che teme un’ulteriore pesante flessione delle movimentazioni dal momento che il Petrolchimico alimenta il traffico di circa 300 navi all’anno in entrata e in uscita dallo scalo – e di numerose società localizzate non solo nell’area industriale e nell’hinterland, ma nell’intero territorio nazionale e anche all’estero, che “a valle” utilizzano il semilavorato della Versalis, offrendo così un significativo contributo alle esportazioni della provincia.
E non mancano poi forti inquietudini anche nel Consorzio Asi, in altri Enti cittadini, nel mondo bancario provinciale che sconta fatture delle società in relazioni d’affari con la Versalis, e più in generale nella stragrande maggioranza della popolazione, timorosa del possibile tracollo di una fabbrica che occupa fra diretti e indiretti di primo livello più di 800 persone, che con i loro salari e stipendi contribuiscono alla tenuta del sistema economico territoriale, come sanno tutti coloro che ne conoscono bene le dinamiche.
Ora, agli occhi di gran parte degli osservatori l’iniziativa del sindaco – per quanto dettata dalle norme vigenti che assegnano ai primi cittadini il ruolo di tutori della salute pubblica – è apparsa per lo meno incauta nelle modalità di assunzione e in quelle di comunicazione a mezzo stampa non essendo note, nel momento in cui è stata assunta, le risultanze delle rilevazioni dell’Arpa. Ma, in realtà, dal momento che nessuno pensa che l’ordinanza dell’ing. Rossi sia scaturita da un impulso emotivo estemporaneo, v’è da chiedersi allora se non vi sia nel suo comportamento – al di là di una ormai nota avversione all’industria chimica insediata nel territorio, nonostante i suoi massicci investimenti promossi per la drastica mitigazione delle emissioni nocive sull’ecosistema brindisino – un disegno di più vasto respiro avente ben altre finalità, qualcuna anche di rilievo nazionale.
Le domande infatti sono molte: con questa ordinanza che agli occhi di qualcuno sembrerebbe un vero e proprio blitz – compiuto peraltro in un momento in cui l’opinione pubblica è attenta soltanto all’uscita dal lockdown con l’avvio della fase 2 – il sindaco ha inteso mascherare quelli che i Sindacati considerano i modesti risultati sinora conseguiti dalla sua azione amministrativa? È possibile, anche se poi toccherà a tutti i cittadini valutarli nella loro reale consistenza. O invece il sindaco, nell’imminenza della fase decisiva per la definizione del nuovo strumento urbanistico della città, ha voluto chiaramente far intendere che il futuro assetto produttivo del capoluogo dovrà assumere caratteri postindustriali, o almeno capaci di superare le industrie petrolchimiche ed energetiche che restano per le loro dimensioni asset fondamentali del suo apparato manifatturiero?
O, invece, insieme alle motivazioni appena richiamate, l’ing. Rossi – dicendo anche di voler investire la magistratura della questione ambientale – si propone di avviare un processo giudiziario che abbia valenza nazionale, e che punti sul medio periodo allo scardinamento della presenza dell’industria chimica a Brindisi, sul modello – mutatis mutandis – di quanto dal luglio del 2012 si è tentato di fare a Taranto con lo stabilimento siderurgico delI’llva?
È questo il vero scopo dell’ordinanza del primo cittadino? Saremmo insomma alla vigilia di una nuova ed anch’essa potenzialmente drammatica puntata di antindustrialismo militante nella nostra regione? Ma se così fosse, se ne sono valutate attentamente da parte sua tutte le particolari conseguenze che ne potrebbero derivare per il territorio e l’intero Paese, proprio analizzando quanto è accaduto nel capoluogo ionico dal luglio del 2012? In ogni caso, se questo fosse il proposito del Sindaco, cosa ne pensa la sua giunta, la maggioranza che lo sostiene e l’intero consiglio comunale?
E tutti i parlamentari, gli stakeholder e i Comuni della provincia cosa pensano al riguardo? E la Regione Puglia – nell’interezza del suo esecutivo e del consiglio – quale valutazione darebbe di tale sua iniziativa? Il disegno lo condividerebbe con qualche delibera formale, o almeno con un documento di indirizzo, al di là di dichiarazioni estemporanee di questo o quel componente della giunta? E converrebbe al presidente Emiliano in vista delle prossime regionali schierarsi a fianco di posizioni palesemente oltranziste? E soprattutto, a livello nazionale, cosa direbbero il ministro dell’Economia e il ministro dello Sviluppo economico, che già sono impegnati strenuamente sulle incerte prospettive dell’Ilva? E il governo nel suo insieme? E la maggioranza che lo sorregge? E tutto il Parlamento? È il caso di ricordare peraltro che la Versalis è controllata dall’Eni, holding quotata in Borsa, a sua volta controllata con maggioranza relativa da capitale pubblico. Per cui, se si volesse avviare uno scontro con la società e la sua controllante, si alimenterebbe un inedito conflitto fra un’istituzione pubblica come il Comune e una società a controllo pubblico come la Versalis.
Ma vi sarebbe un altro effetto pesantemente negativo sull’economia locale che riguarderebbe la quasi totale riduzione dell’appeal attrattivo dell’area di Brindisi nell’ambito della ZES Adriatica. Infatti, quale azienda italiana ed estera prenderebbe in considerazione l’ipotesi di localizzarsi nell’area brindisina, in presenza di una amministrazione comunale che – per quanto legittimamente impegnata a tutelare la salute dei cittadini – non esita ad assumere provvedimenti di sospensione di grandi attività produttive in via presuntiva e senza il preventivo, scientifico e ineccepibile supporto dei rilievi e delle risultanze dell’Arpa? E non si dimentichi che nella business community internazionale il Comune di Brindisi è già noto (negativamente) per aver rifiutato l’insediamento del rigassificatore della British gas.
Questo è l’insieme di riflessioni e di interrogativi che l’ordinanza del sindaco solleva in chi osservi in termini oggettivi la situazione locale. Ragion per cui, se è consentito dare un consiglio (non richiesto) a chi ha assunto quel provvedimento, si suggerisce di riaprire un dialogo franco ma costruttivo con una società che ha dimostrato da anni con gli investimenti di non essere sorda alle sollecitazioni provenienti dal territorio. Ma se, al contrario, si volesse andare ugualmente allo scontro con Eni e Versalis, allora si metta in conto di poter essere chiamati anche a risarcire loro i danni di varia natura derivanti dalla sospensione di esercizio degli impianti, se mai le risultanze delle rilevazioni dell’Arpa non ascrivessero in forme inoppugnabili alla società la responsabilità delle emissioni nocive.