Per Luigi Marattin forse è la volta buona. Incassato il compromesso sul Decreto Rilancio, l’economista di Italia viva non esclude che anche i settori della maggioranza più riottosi non si convincano a fare un altro passo dicendo sì all’adesione dell’Italia alla nuova linea di prestito del Mes. A favore del prestito per le spese sanitarie del Meccanismo europeo di solidarietà gioca la logica dei numeri, circa 700 milioni di interessi risparmiati ogni anno. E la certezza che di condizionalità, oltre alla destinazione della spesa, non ce ne sono.
Una serie di tweet per dire al governo che sarebbe l’ora di aderire alla nuova linea di prestiti del Mes. È un effetto del sì al decreto, con il via libera anche alla sanatoria degli stagionali stranieri?
Il dato sulla produzione industriale di marzo (-29,3% su base annua, un calo più che doppio rispetto alla zona euro) dovrebbe aver fatto capire a tutti che è finito il tempo degli slogan, delle cialtronate e delle posizioni ideologiche. La linea di credito del Mes ci mette subito a disposizione – e senza altre condizioni – 35,74 miliardi a tasso zero, che possiamo utilizzare per il più grande piano di ammodernamento del sistema sanitario (e forse non solo) che questa Repubblica abbia mai visto. Se reperissimo queste stesse risorse emettendo Btp, spenderemmo circa 700 milioni in più ogni anno, per un totale di 7 miliardi. Buttati completamente al vento. Le sembra che siamo nella condizione di rifiutare solo perché qualche forza politica (M5S, ndr) ha fatto del “No Mes” uno slogan che ha solleticato gli istinti anti-europeisti più beceri?
Ci sono le condizioni politiche per fare votare al Parlamento?
Non lo so. Osservo con piacere che i toni di alcuni esponenti del M5S sono molto cambiati, sembrano più possibilisti ora. Persino nella Lega c’è qualcuno che inizia a dubitare. Chissà, forse è la volta buona che in questo Paese smettiamo di scambiare il dibattito politico per un infinito derby calcistico in cui opposte tifoserie si scambiano slogan e insulti in modo totalmente indipendente da ciò che accade sul campo.
Perché conviene soprattutto all’Italia il prestito per l’emergenza sanitaria?
Il tasso al quale il Mes presterà i soldi sarà con ogni probabilità intorno allo zero. Questo taglia fuori 11 dei 19 Paesi dell’Eurozona che già si finanziano a quei tassi con le proprie emissioni e quindi non hanno alcuna convenienza a ricorrere al Mes. Altri 5 Paesi si finanziano a tassi solo leggermente superiori, quindi per loro la convenienza è davvero scarsa. Rimangono tre Paesi, il cui costo del debito è intorno al 2% o poco inferiore: Grecia, Cipro e Italia. Per loro ricorrere a questa linea di credito è invece finanziariamente molto conveniente. Ma Grecia e Cipro – fortunatamente per loro – sono stati solo sfiorati dalla crisi sanitaria. La Grecia finora ha avuto 2760 casi e 155 morti su una popolazione di più di 10 milioni di abitanti; Cipro ha avuto 905 casi e 17 morti su una popolazione di oltre un milione. E inoltre, entrambi i Paesi hanno già usufruito della linea di credito del “vecchio” Mes, che stanno restituendo.
Rimane quindi solo l’Italia, che – conti e situazione sanitaria alla mano – è l’unico Paese ad avere una effettiva e chiara convenienza nell’accesso al Mes. Ciò non significa che non potrebbero esserci altri Paesi che alla fine decideranno di aderirvi, ma anche se dovessimo essere gli unici, non ci sarebbe nessuna vergogna, nessun effetto stigma o nessuna ammissione di colpa. Semplicemente, è la scelta più razionale date le condizioni sopra esposte.
Per alcuni partiti di centrodestra non è vero che non ci sono condizioni. Chi ha ragione?
Senza offesa per lei, si intenda. Ma solo in Italia è concepibile fare domande del genere. L’assenza di condizionalità non è una opinione di cui dar conto in un legittimo scambio di prospettive e di visioni alternative del mondo. È un semplice fatto, stabilito senza alcun margine di dubbio o ambiguità sia dal Consiglio europeo del 23 aprile che dall’Eurogruppo dell’8 maggio. Da dichiarazioni di tutti i protagonisti della vicenda e da tutti i documenti ufficiali. Basta leggere. Chi si ostina a contestarlo è costretto a ricorrere a cialtronate colossali, o a vere e proprie menzogne. Di cui ha bisogno per continuare a sostenere i propri slogan. Ma un dibattito pubblico dove non si distingue più tra fatti e opinioni non è un buon servizio alla democrazia.
L’Italia si è impegnata a ritornare nel binario dell’obiettivo di medio termine dopo il 2020. È possibile visto lo stato dei conti e dell’Economia?
Le attuali regole fiscali dell’Ue sono state sospese fino alla fine dell’emergenza, e non sapremo quando questa condizione si verificherà. In quel momento dovremo fare i conti con un gigantesco incremento del debito pubblico in tutto il mondo, e nessuno sa esattamente come funzionerà un mondo del genere e quali saranno le “regole di ingaggio”. Inoltre, le regole fiscali dell’Unione europea in parte (i limiti del 3% e del 60% a deficit e debito) derivano da condizioni macroeconomiche di fine anni Ottanta; per la restante parte (l’aggiustamento verso il pareggio di bilancio strutturale) derivano da novità introdotte nel 2012-13 che tuttavia si basano su parametri estremamente controversi e non osservabili (come la stima del Pil potenziale), che hanno reso le regole fiscali poco robuste, poco trasparenti e a volte persino pro-cicliche. Tutto questo per dire che mi aspetto una profonda revisione di quelle regole, nel mondo post-crisi. Non certo un “tana libera tutti”, ma uno schema di regole semplici, facilmente comprensibili e in grado di essere efficienti e sostenibili. E di coniugare efficacemente crescita e sostenibilità delle finanze pubbliche.