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Confindustria non lascia ma raddoppia. Ecco il piano di Bonomi per Conte

Tra poche ore Carlo Bonomi, da meno di un mese presidente di Confindustria, varcherà i cancelli di Villa Pamphili per prendere parte agli Stati Generali dell’Economia. Gli umori della vigilia non sono dei migliori. Gli Industriali hanno più volte criticato l’azione del governo in questi mesi di lockdown, dimostrandosi raramente teneri verso Palazzo Chigi. Non stupisce dunque il non aver mai mostrato reale fiducia nella sette giorni di dibattito e confronto allestiti dal premier, Giuseppe Conte, nella villa romana. Ogni mossa del premier viene picconata da Confindustria, che continua a ribadire la sua posizione: ad oggi il governo non ha un piano per la Fase 3. Piano che invece a Viale dell’Astronomia esiste, tanto dall’aver preso le sembianze di un libro Italia 2030, proposte per lo sviluppo, da domani sul tavolo degli Stati Generali e nella cui prefazione, visionata dall’Askanews, Bonomi mescola proposte e bordate all’indirizzo dell’esecutivo.

SENZA UNA VISIONE

La premessa è che il governo non ha bene in mente che cosa fare per tirare fuori il Paese dalle secche della recessione, per salvare i posti di lavoro e tornare a creare ricchezza. Ad oggi “è mancata finora una qualunque visione sulla Fase 3, da far seguire a chiusure e riaperture. La fase cioè in cui definire sostegni immediati alla ripresa di investimenti per il futuro, riprendendo e potenziano in toto l’impianto d’Industria 4.0 e affiancandovi un grande piano Fintech 4.0”, scrive Bonomi nella prefazione del volume che per Confindustria rappresenta una specie di testo unico della ripresa.

Secondo Bonomi, “è stato un errore non avere approfittato dei due mesi di lockdown e di emergenza sanitaria per definire una metodologia di prevenzione basata sulla raccolta di dati ricavati da tamponi e test sierologici di massa, da convogliare con tecnologie digitali a presidi di medicina territoriale per la diagnostica precoce, così da rendere possibili eventuali restrizioni ma solo su base microgeografica”.

IMPRESE INASCOLTATE

Ma l’accusa più grande è quella di non aver ascoltato chi è chiamato tutti i giorni a sostenere il Pil e dare lavoro, le imprese, ferite mortalmente dalla pandemia. “Le misure a favore delle imprese messe in campo dal governo hanno il grande demerito di essere state decise senza prestare alcun orecchio alle esigenze delle imprese”, attacca il presidente di Confindustria. “Non è una grande idea chiedere alle imprese d’indebitarsi mentre devono continuare a pagare le imposte e mentre lo Stato non rende immediatamente disponibili in liquidità pronta cassa gli oltre 50 miliardi di euro di debiti commerciali che deve ai suoi fornitori”.

UNA NUOVA DEMOCRAZIA

Fin qui le accuse. Poi però ci sono le soluzioni. Tanto per cominciare, dicono gli Industriali, c’è bisogno di una nuova forma di dialogo tra politica, imprese e cittadini. Una nuova democrazia “negoziale: in Italia c’è bisogno di una democrazia negoziale, costruita e radicata su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”, è il ragionamento di Bonomi. Insomma, le decisioni spettano alla politica a patto che siano il risultato di proposte dal basso.

LE PROPOSTE

Nel merito delle proposte con cui salvare un’economia che nei calcoli di Confindustria quest’anno perderà il 10% della sua ricchezza, gli imprenditori chiedono in primis un intervento strutturale e di lungo periodo sul costo del lavoro, alias cuneo fiscale. Ma anche un uso “rapido e massivo delle ingenti risorse che l’Ue ci ha messo a disposizione: più di 110 miliardi di euro impegnabili a breve”. E poi, basta con la Cassa integrazione a oltranza perché “è impensabile continuare ad accumulare nuove forme di cassa integrazione e di sostegno al reddito sommandole ai troppi ed eterogenei strumenti già esistenti. Col risultato che i fondi sono tardi e lenti nel tradursi in trasferimenti, esattamente come si sono rivelati inadeguati i tempi per il sostegno di liquidità alle imprese”.

IL MOSTRO DEL DEBITO

Un pensiero non poteva non andare al debito pubblico, che taglia ogni spazio di manovra sui conti. Per questo non resta che tornare a crescere. “Il maxidebito italiano ha continuato a renderci il paese Ue più esposto ai venti di ogni crisi. E che ci vede colpiti dal virus con molta minor capacità d’intervento rispetto agli altri grandi paesi europei. Il debito pubblico salirà quest’anno e all’inizio dell’anno prossimo verso un ammontare prossimo al 160% del Pil, mentre quello europeo salirà anch’esso, ma restando secondo le attuali stime della Commissione nell’ordine di 60 punti inferiore”.

Per questo “è forte la nostra convinzione che sia del tutto errata la volontà politica di affrontare la voragine della crisi senza darsi un’immediata ma credibile prospettiva pluriennale di riconduzione del debito entro medie europee. Il recente Def non ci dice nulla in proposito”. L’Italia, per Bonomi, dovrebbe per prima porre sul tavolo “una proposta di accordo pluriennale per risolvere la maggiore esposizione al rischio del proprio debito pubblico, ciò renderebbe ancor più forti le istanze italiane sull’intero pacchetto delle proposte su cui si muove la Commissione europea”. Ora non resta che aspettare domani.



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