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Attenti al debito. La Corte dei conti avvisa Conte

Il debito? Un male necessario, ma non può e non deve diventare un biglietto di sola andata per l’Inferno. Che i conti pubblici italiani siano sotto stress non è un mistero: Def alla mano il rapporto tra indebitamento e Pil a fine 2020 salirà al 155,7%. Non c’era altra strada forse, ma superato il momento bisognerà rimettersi subito in carreggiata sulle finanze pubbliche. La Corte dei conti, lo ha ricordato proprio questa mattina, in occasione della cerimonia per la parificazione del bilancio statale 2019. Il linguaggio è quello aulico della magistratura contabile, ma il messaggio è comunque chiaro.

DEBITO SI, MA DOPO…

Nella sua relazione, il presidente di coordinamento delle sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, Ermanno Granelli ha chiarito come “l’espansione significativa del debito pubblico è necessaria per affrontare la crisi del coronavirus, ma poi sarà indispensabile una fase di lento ma continuo rientro. La fase che stiamo attraversando è di una severità tale che l’espansione dei bilanci pubblici appare un’indiscutibile necessità. Per molti aspetti, la sostenibilità prospettica delle finanze pubbliche di molti Paesi riposa oggi proprio sulla capacità di espandere, in modo appropriato, il debito”. In sintesi, “la possibilità di accrescere il rapporto debito/Pil è oggi tanto maggiore quanto più credibile è la volontà di voler utilizzarlo per superare le fragilità in termini di servizi pubblici, formazione, infrastrutture e ricerca, dimostrando, soprattutto in questo modo, la determinazione di volerlo collocare, dopo la temporanea e inevitabile fase espansiva, su un sentiero di lento ma continuo rientro”.

MENO TASSE SUL LAVORO

E se proprio prima o poi si dovrà rimettere il debito su un sentiero di sostenibilità, non si potrà prescindere da un riassetto fiscale che parta dalle tasse sul lavoro. Proprio in questi giorni è in atto un dibattito su dove intervenire: Iva, Irap, Irpef (qui l’intervista di ieri all’economista Giampaolo Galli). Per la Corte dei conti non ci sono dubbi, bisogna partire dal lavoro. “È ormai non più rinviabile un intervento fiscale per ridurre le tasse ai lavoratori, ai pensionati e alle imprese. Appare non più rinviabile un intervento in materia fiscale che riduca, per quanto possibile, le aliquote sui redditi dei dipendenti e anche dei pensionati che, pur essendo fuori dal circuito produttivo, frequentemente sostengono le generazioni più giovani, oltreché le imposizioni gravanti sulle imprese alle quali sono affidate le concrete speranze di un rilancio del Paese”.

IL FLOP DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Non è finita. Al centro delle considerazioni della Corte dei conti, è finito anche il Reddito di cittadinanza, creatura del Movimento Cinque Stelle. Che, secondo la Corte dei conti, ha disatteso le aspettative. “Solo il 2% delle persone che hanno ricevuto il reddito di cittadinanza è riuscito poi a ottenere un lavoro attraverso i centri per l’impiego. risultano essere state accolte circa un milione di domande, a fronte di quasi 2,4 milioni di richieste, delle quali soltanto il 2% ha poi dato luogo a un rapporto di lavoro tramite i centri per l’impiego”.

BUROCRAZIA (ANCORA) LUMACA

In ultima istanza, una delle questioni più attuali e al contempo delicate: il pagamento alle imprese dei debito contratti con lo Stato. Come noto, non solo l’erogazione della liquidità alle aziende prevista dal decreto Liquidità (aprile) sta andando a rilento, ora ci si mettono anche i crediti pregressi vantati dalle aziende. Per la Corte dei conti non ci sono scusante. “La Pubblica amministrazione continua a pagare in ritardo, impiegando mediamente 49 giorni, e il tempo medio di ritardo è aumentato. Continua a riproporsi nonostante l’impegno profuso negli ultimi anni, il problema dei ritardi di pagamento. L’amministrazione statale nel suo complesso, nel corso del 2019, ha trattato poco più di 4 milioni di fatture per un importo complessivo di circa 18 miliardi e ne ha pagate 2,7 milioni corrispondenti all’importo di circa 13 miliardi. L’insieme delle fatture è stato pagato in media in 49 giorni (47 giorni nel 2018)”.

Colpa, in ogni caso, non tanto della cassa, ma delle procedure. Il tempo medio di ritardo “si presenta in leggero aumento passando da 9 a 11 giorni e i ritardi si accumulano per le fatture di importo meno elevato. Un peggioramento limitato ma che emerge anche da una riduzione complessiva della capacità di pagamento ridottasi nell’ultimo anno di circa due punti (al 56,8% del 2019). Tra le cause restano le criticità sia di tipo procedurale che di natura contabile, molte delle quali richiederebbero la reingegnerizzazione di alcuni processi e interventi normativi”.

 

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