Il paradosso é tutto italiano. Il Paese è retto da un governo che, stando ai sondaggi, non ha la maggioranza degli elettori. In Parlamento i numeri reggono, seppure con crescente difficoltà. Ma la distanza tra “Paese legale” e “Paese reale” è sempre più evidente. Soprattutto a causa dello smottamento dei 5 Stelle e della loro caduta a picco nelle varie tornate elettorali: europee e locali. In altri momenti, le elezioni politiche anticipate, per ricomporre il quadro sarebbero state inevitabili.
Il diffondersi del virus ha ingessato la situazione italiana, garantendo al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, una rendita di posizione che ha contribuito a consolidare la situazione politica. Che rimarrà tale, almeno fin quando, passata l’emergenza sanitaria, sarà possibile indire nuove elezioni politiche. Nel frattempo, considerate le difficoltà che si frappongono a semplici consultazioni regionali, tutto resterà più o meno tale e quale. Nonostante le fibrillazioni, i malumori, i possibili dispetti tra i diversi personaggi in cerca d’autore. Vale a dire di una possibile strategia per un dopo: tutto da decifrare.
L’opposizione, dal canto suo, si è messa fuori gioco. Rinchiusa in se stessa, nella speranza di una soluzione catartica, destinata a coincidere con il giorno x, che rischia sempre più di giungere alla fine di questa legislatura. Nel frattempo, tuttavia, cambiano i rapporti di forza: tra centro – destra e centro – sinistra. Ed all’interno del primo schieramento, che tende a disarticolarsi. Con la Lega che perde consensi e Fratelli d’Italia che avanza. Mentre l’elettore mediano della terminologia anglo-sassone, quello che dovrebbe essere l’ago della bilancia per l’assegnazione del trofeo, non sa più che pesci pigliare.
Lo scontro è muro contro muro. Una battaglia campale che rafforza oggettivamente la posizione di Giuseppe Conte. L’eventuale resa dei conti, infatti, vi potrà essere, ma solo nel momento in cui lo scettro tornerà nelle mani del popolo. Nel frattempo sarà solo un susseguirsi di scaramucce per venire incontro al malessere dei propri militanti. Del resto non può che essere così: vista l’inconciliabilità delle diverse posizioni, che non riguardano tanto l’immediato “che fare?”, quanto l’universo identitario delle forze in campo.
Il nodo principale – ormai dovrebbe essere chiaro – riguarda l’Europa. Le scelte più recenti, che hanno portato la Bce alla decisione di immettere sul mercato ben 1.350 miliardi di euro ed alla Commissione europea più o meno altrettanto (Sure, Bei, Mes e Recovery Fund), dimostrano quanto sia cambiato l’orizzonte programmatico. Archiviata la politica di austerity, si pensa ad una riconversione produttiva che sfrutti al meglio le potenzialità del mercato unico. Onde evitare la prospettiva di un “vaso di coccio”, senza identità, di fronte alla ricomposizione del fronte internazionale. Con Usa, Cina e Russia unici player in grado di giocare la partita.
L’opposizione è in forte ritardo nel cogliere il significato di queste trasformazioni. Non ha capito ad esempio il repentino riposizionamento di Angela Merkel. Fino a ieri sponsor di Olanda, Austria, Svezia e Danimarca. Oggi stretta alleata di Emmanuel Macron, nel riproporre un approccio di tipo comunitario. Che non nasce certo da una conversione sulla via di Damasco, ma è il riflesso delle preoccupazioni strategiche dell’establishment più avvertito ed intelligente. Senza un’Europa unita, l’industria tedesca è destinata a subire un drastico ridimensionamento, a causa dell’inevitabile conseguente segmentazione dei mercati.
Si cerca, allora, di motivare l’opposizione critica sui singoli provvedimenti, ricorrendo alle armi del leguleio o del contabile. Il Mes deve essere respinto perché la presunta non condizionalità è in contrasto con le regole del Trattato istitutivo. Il che è anche vero, ma sarà difficile invocare quella regola, dopo la complessa trattativa che ha portato alla nascita di una sorta di Mes 2.0. Il Recovery Fund – altra critica – è una specie di fregatura, visto che il vantaggio effettivo sarà di un pugno di miliardi. Buttali via! Avremmo voluto maggiori pasti gratis, anche se, com’è noto, non esistono in natura.
Queste critiche non sono in grado di scorgere la voragine che si è aperta ai piedi dell’economia italiana. Secondo i calcoli della Commissione europea, il debito pubblico italiano è destinato ad aumentare, alla fine dell’anno, di quasi 185 miliardi di euro. Se non si troveranno fonti di finanziamento alternative, la mole di titoli da emettere sarà tale da far schizzare verso l’alto i tassi di interesse. Specie se si considera l’eccesso di domanda di moneta che deriva dalla concomitante richiesta degli altri Paesi: tutti coinvolti nella stessa crisi di carattere simmetrico.
C’é, naturalmente, la Bce. Questa la risposta di molti economisti dell’opposizione. E se non ci fosse, ci sarebbe comunque la Banca d’Italia, pronta a favorire, come si è soliti dire, la monetizzazione del debito. Insomma: un ritorno agli anni ‘70, per l’economia italiana. Di cui, tuttavia, non si conserva un buon ricordo. Inflazione alle stelle, continue svalutazioni monetarie, indicizzazione di alcuni redditi, appiattimento retributivo e via dicendo. Comunque sia una prospettiva irrealistica, in Europa, considerate le diverse posizioni in campo. E quindi obiettivo conseguibile solo nel caso di fuoriuscita dall’euro e ritorno al vecchio conio.
Possibile? Tutto da verificare. Auspicabile? Ne dubitiamo. Con tutto il rispetto per gli economisti della Lega, sto con Mario Draghi, quando esortava tutti i governi ad intervenire. La politica monetaria, da sola non basta. Al punto in cui siamo non basta neppure l’ausilio della politica fiscale. Il mondo intero si sta riconvertendo. E l’Italia, in questo grande mare è solo una piccola cosa. Che pesa appena per l’1,7 per cento di tutta la ricchezza, ogni anno, prodotta. Una geopolitica impietosa che dovrebbe far riflettere.