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Europa, Libia e Mediterraneo. Cosa ci dicono le nomine di Borrell

Ricorda Alessandro Scipione su InsideOver che ai deputati e senatori che lo ascoltavano in un’audizione sulla Libia della Commissione congiunta Esteri, il capo della diplomazia italiana, Luigi Di Maio, aveva detto: “Gli inviati speciali sono i ministri degli Esteri degli Stati membri. Ma capisco che in questo momento c’è bisogno di un terminale”. Era il 14 maggio, si tornava a parlare di una vecchia idea dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che da gennaio propone di nominare un inviato speciale europeo per il dossier. Quelli erano i giorni che precedevano la conferenza internazionale  di Berlino, quando gli Stati europei, guidati dallo sforzo tedesco, avevano provato a costruire una struttura diplomatica per fermare le armi e stabilizzare il Paese.

Se a questo punto si parla di salvare ciò che di buono c’è stato a Berlino (la possibilità di creare un allineamento europeo sulla Libia, confrontare l’idea di policy UE lanciata per l’Ecfr da Arturo Varvelli e Tarek Megrisi), è evidente che il successo diplomatico dell’iniziativa s’è abbinato a una risposta sul campo non certo formidabile. Adesso la guerra in Libia è su un punto di svolta, vero, ma lo si è raggiunto soltanto grazie al fatto che la Turchia ha aiutato il governo onusiano Gna a respingere l’aggressione delle forze haftariane. A cinque mesi da Berlino, siamo effettivamente davanti a un momento che potrebbe far partire un nuovo (forse mai così forte) momento di stabilizzazione – che dovrebbe riguardare dunque l’intera regione.

A meno che il Cairo, promotore indipendente di un’iniziativa pensata dalla sua area di influenza libica, la Cirenaica, non decida di dar seguito allo show of force retorico. La sparata di sabato del presidente/generale, Abdel Fattah al Sisi, siamo pronti anche a un’azione di guerra in Libia contro la Turchia, sembra più che altro un messaggio da usare come segna posto. Il senso è un noi ci siamo, siamo a Est, che nessuno se ne dimentichi. Non una dichiarazione sulle volontà di guerra, sebbene la prima del genere in anni di guerra.

Fatto sta che, comunque, pure uno scontro “svolta” sarebbe. Dopo anni di guerra proxy si passerebbe al conflitto aperto. Devastante per la stabilità della regione e per il confine meridionale dell’Europa. Fascicolo clamorosamente importante per l’Italia; Paese per cui l’altra sponda mediterranea è più di ogni altra cosa questione di sicurezza nazionale. Bruxelles ha il compito di controllare la situazione. Se sulla soluzione libica le idee scarseggiano, sul mantenimento degli equilibri generali nella regione nordafricana e mediterranea l’Ue non ha possibilità di errore.

Leggere le recenti nomine del  Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) serve forse a comprendere il taglio politico-diplomatico che Borrell intende dare al prossimo futuro. Partendo proprio dalla Libia, dove l’Alto rappresenta il suo inviato speciale ha fatto in modo di nominarlo: il maltese Alan Bugeja sarà sostituito alla guida della rappresentanza europea dallo spagnolo Jose Sabadell, già direttore della divisione Nord Africa del ministero degli Esteri spagnolo (da dove viene Borrell). Un perno, un altro segnaposto.

Per quanto riguarda invece altri tre Paesi nevralgici per la situazione, Tunisia ed Egitto, i due estremi ovest-est libici, la Turchia, il player di maggior rilievo nel dossier, Borrell ha scelto rispettivamente gli austriaci Marcus Cornaro e Christian Berger (per altro spostato da Ankara al Cairo, con un incrocio diplomatico molto interessante) e il tedesco Nikolaus Meyer-Landrut (forse sfruttando le relazioni storiche tra Germania e Turchia). Lo svedese Carl Hallengard sarà poi il responsabile dell’area Medio Oriente e Nord Africa, la danese Birgitte Markussen andrà all’Unione africana.

Non ci sono italiani tra queste nomine (e nemmeno tra quelle per i Balcani), e sembra che Roma debba soffrire l’assenza di suoi rappresentati nei suoi due confini più delicati – all’Italia Borrell ha affidato due compiti difficili, il Myanmar a Ranieri Sabatucci, spostato dall’Unione africana, mentre Thomas Gnocchi è stato nominato capo dell’Ufficio dell’Ue a Hong Kong e Macao, dossier delicatissimo nell’equilibrio con la Cina.

Non è detto che sia una perdita di centralità comunque, anzi potrebbe essere anche una conseguenza fisiologica a sentire diverse voci degli ambienti diplomatici europei (che commentano in forma discreta). Per esempio, è possibile che l’Alto rappresentante abbia deciso di “dare spazio ad altro” dopo i cinque anni di Lady Pesc Mogherini; una conseguenza logica che potrebbe interessare in futuro anche le rappresentanze come Emirati Arabi e Arabia Saudita, o Siria. Altra ipotesi, si sia scelto di tenere fuori da certi centri sensibili (quelli nordafricani e quello turco) gli attori più coinvolti nelle dinamiche in atto, come gli italiani, appunto, o i francesi e i greci.



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