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Occhio! Così Turchia, Russia (e non solo) si stanno mettendo d’accordo sulla Libia

L’offensiva di Khalifa Haftar è finita. Nella notte è stata riconquistata anche Bani Walid, dopo Tarhouna (caduta ieri, con qualche episodio violento) l’ultima roccaforte avanzata rimasta in mano alle forze del signore della guerra dell’Est. Di Bani Walid se n’è parlato recentemente perché è stato lo scalo usato dai contractor russi della Wagner – davanti all’avanzata delle forze della Tripolitania, guidata dalla Turchia – prima di uno spostamento verso la base di al Jufra, in Cirenaica (dove sono arroccati i russi e gli emiratini, best sponsor haftariani con l’Egitto).

“Ormai è palese che in Libia c’è un accordo tra Turchia e Russia – spiega a Formiche.net Daniele Ruvinetti, esperto di Libia con forti contatti a Tripoli – e questa intesa trova favorevoli gli egiziani, che si stanno attivando da tempo sul piano politico-diplomatico. Ora i più restii sono gli Emirati, ma le trattative vanno avanti”.

Oggi al Cairo va in scena il secondo incontro – in due giorni – tra Haftar e la sua (ex) spalla politica della Cirenaica, il presidente dell’HoR onusiano, Agila Saleh. I due hanno tenuto il controllo dell’Est del Paese per anni, ma da qualche tempo Saleh è sembrato volersi smarcare dalle volontà militariste del capo miliziano, contro cui il leader parlamentare ha lanciato una sua road map politica.

Domenica Saleh sarà a Mosca, dove nei giorni scorsi è stato il vicepremier libico, Ahmed Maiteeg, tornando indietro con l’assicurazione da parte dei russi sul riavvio del dialogo. Maiteeg nei giorni scorsi è stato protagonista di una serie di colloqui con gli Stati Uniti.

“Sono convinto – prosegue Ruvinetti – che si voglia cercare un cessate il fuoco, perché ormai Haftar ha perso il grip nella sua campagna armata contro Tripoli, tutto è smottato e ora il Gna pretenderà Sirte, che gli haftariani stanno abbandonando perché ormai nessuno vuol più combattere. Immagino a questo punto che l’accordo ruoterà attorno all’allargamento del Consiglio presidenziale. Ci sono spazi, d’altronde: era nato per essere composto da nove persone, ma adesso sono solo in cinque”.

Il Consiglio presidenziale è l’organo creato dal Libyan political agreement (Lpa), l’accordo del 2015 tra le parti libiche chiuso dalle Nazioni Unite a Skhirat: un framework legale che regola il consiglio e il suo funzionamento, recepito dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. 

Cosa potrebbe cambiare nell’organismo guidato dal premier libico, Fayez Serraj? “Potrebbero venir inserite figure della Cirenaica che garantiscano la regione e gli sponsor relativi. Il punto è questo: se tu vuoi cambiare l’Lpa devi seguire le clausole interne e tutta la serie di vari passaggi fino al CdS dell’Onu. Invece seguirne il solco permette a tutti di avere un quadro legale in cui muoversi: in quello si potrebbero recuperare quei quattro spazi finora vuoti nel PdC, e poi puoi avviare un dialogo da cui fare anche rimpasti nel governo Gna”.

In questi giorni si parla molto della volontà dell’Egitto di spingere il signore della guerra dell’Est a nominare un suo vice. Una figura potabile, non troppo osteggiata dalla Tripolitania e in grado di gestire gli interessi degli attori esterni. Secondo alcune indiscrezioni, potrebbe essere il modo per trovare una via di uscita dignitosa per Haftar (e magari il vice potrebbe essere parte del nuovo PdC, anche perché Serraj e il Gna hanno fatto sapere in più occasioni che non vogliono più sedersi a un tavolo con Haftar).

“Questi sarebbero gli unici modi per permettere la fluidità di un processo di stabilizzazione allargato. Con la Turchia che avrà un’area di influenza, la Tripolitania, la Russia che ne avrà un’altra, l’Est, e l’Egitto che ha interesse solo alla Cirenaica che resterà garantito”, spiega Ruvinetti. E gli Emirati, non diventano un problema? “Sì, ma ormai devono solo prendere atto della situazione. Haftar, che hanno riempito di armi, ha perso la guerra, e dubito che possa tornare all’offensiva”.

Giovedì Washington ha ufficialmente chiamato Abu Dhabi per chiedere di fermare le armi. Per gli americani il problema è la presenza russa, ma la forza di equilibrio prodotta dal nuovo riallineamento con la Turchia, il dispiegamento militare in Tunisia e il contatto continuo con emirati ed egiziani dovrebbe essere sufficiente per non far scivolare la Cirenaica completamente nella mani di Mosca.

E nel futuro, attraverso questa stabilizzazione (non certo immediata), ci saranno anche spazi per l’Italia? “Serraj ha detto chiaramente che la Turchia ha chiesto di essere ripagata per l’aiuto dato in Libia, e aspetta aziende turche per la ricostruzione, e poi ci saranno accordi sulle risorse energetiche. In questo l’Italia potrebbe anche trovare spazi recuperando terreno sul dossier, creando partnership funzionali con Ankara in Tripolitania”, secondo Ruvinetti.

Il Consiglio di Sicurezza ha intanto adottato la risoluzione 2526 sull’esecuzione dell’embargo sulle armi in Libia. La risoluzione, redatta dalla Germania (che ormai guida le operazioni che dall’esterno spingono per un ruolo prominente dell’Onu), limita tutte le attività di attuazione dell’embargo ad “alto mare, al largo delle coste della Libia” e non fa menzione delle frontiere terrestri o dello spazio aereo. Ossia implementa il ruolo di “Irini”, la missione dell’Ue per controllare l’embargo, che Tripoli ha criticato per essere monca sul lato terrestre e aereo.

 

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