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Mediobanca ai francesi in cambio del Recovery fund? Parla Carlo Pelanda

Geopolitica e finanza vanno sempre a braccetto. Non fa eccezione l’operazione di Leonardo Del Vecchio, patron di Essilor-Luxottica, pronto a scalare fino al 20% Mediobanca e ad aumentare la presa su Generali, di cui piazzetta Cuccia detiene il 13%. “È l’ultima puntata di una conquista della finanza italiana da parte di un pool di banche che dirige il governo francese, Macron è solo un esecutore”, confida a Formiche.net Carlo Pelanda, docente di Geopolitica economica all’Università Guglielmo Marconi ed esperto di studi strategici. Ma il professore avanza un altro dubbio: e se il governo italiano fosse complice?

Pelanda, per alcuni l’operazione di Del Vecchio è un salvataggio patriottico, per altri apre le porte della finanza italiana ai francesi. La verità sta nel mezzo?

Ci sono motivi sia per l’una che per l’altra interpretazione. L’operazione ha sicuramente senso da un punto di vista finanziario per uno che ha la liquidità di Del Vecchio, se hai quei soldi da qualche parte devi metterli, e il sistema Mediobanca-Generali è una meta ideale, soprattutto dopo il disingaggio di Unicredit. Ovviamente c’è un problema geopolitico.

La Francia, appunto.

Del Vecchio fa riferimento alla tutela dell’italianità di Generali, ma è anche sospettabile di relazioni con i francesi. Una nota positiva c’è: il governo ha messo gli occhi sopra questa operazione. Resta da capire se per tener fede a un accordo con i francesi o per tutelare l’italianità del Leone. Qualche dubbio ce l’ho. Diciamo che in questo momento c’è da essere sospetti di chiunque si stia muovendo, compreso il governo italiano.

Cioè, c’è un accordo fra l’Eliseo e Palazzo Chigi?

Abbiamo incassato il Recovery Fund di Macron, ora dobbiamo dare qualcosa indietro. La finanza francese sta giocando una partita strategica che ha un suo senso: conquistare la finanza italiana per ribilanciare i rapporti di forza con la Germania. Purtroppo il metodo con cui il capitale francese si estende nei capitali di altri Paesi è molto opaco. Gli unici che hanno informazioni dirette e affidabili sono i membri del Copasir, l’unico soggetto istituzionale che sta cercando di mantenere un po’ di asset italiani nel Paese. Di questo governo, profondamente penetrato dai francesi e dai cinesi, mi fido di meno.

Certo non scopriamo oggi la presenza dei francesi nella finanza italiana.

La finanza se la sono già presa da un pezzo. Ora Macron sta entrando in pressing, ma non agisce per conto suo, è un esecutore.

Di chi?

Di un pool di banche che tira le fila del governo. Il modello del governo francese attuale è la cosa più simile al “governo bancario” che governò, peraltro bene, gli Stati Uniti a cavallo fra ‘800 e ‘900, prima dell’arrivo di Theodore Roosevelt. I grandi giornali francesi non approfondiscono il tema, perché sono posseduti da quelle banche.

Il caso Mediobanca-Generali rientra in questa trama?

È solo l’ultima puntata. Questa pressione francese per comprare asset industriali e finanziari italiani va avanti da almeno 20 anni, è iniziata sul finire degli anni ’90. Ricordiamo come il governo di Laurent Fabius che cercò di integrare Finmeccanica all’interno di un compound industriale francese, dove gli azionisti italiani sarebbero rimasti in minoranza. All’epoca fui ingaggiato dal governo Berlusconi e dal ministro Antonio Martino per una consulenza su come far ripartire il comparto.

Poi c’è il caso Borsa Italiana, che London Stock Exchange potrebbe vendere ai francesi di Euronext.

Quella non gliela dobbiamo dare, significherebbe vendere ai francesi tutti i nostri dati sensibili. Finché sono in mano agli inglesi va bene, li usano per fare business, non per fini geopolitici. I francesi di Euronext fanno benissimo a provarci. Parigi vuole agganciare Borsa italiana a un sistema più ampio per avere liquidità circolante e far sì che quotare un’azienda lì abbia un senso finanziario.

Quindi che si fa? Una cordata con Cassa depositi e prestiti?

La scelta ideale sarebbe rimanere così. L’aggancio con la Borsa inglese e di riflesso con le Borse americane è nel nostro interesse strategico, che risponde all’asse Roma-Londra-Washington.

Ha detto che il governo è penetrato dai cinesi. Quanto in profondità?

Il legame con la Cina si gioca anzitutto sul fronte politico. Il governo cinese non ha più soldi per sostenere la Via della Seta. Resta una profonda influenza di lungo termine sulla politica italiana e su alcuni personaggi in particolare, incentivati se non a libro paga, bilanciata solo da un tardivo crollo di reputazione per la gestione della pandemia.

La morsa su Hong Kong di cosa è sentore?

È spia di debolezza, più che di forza. La Cina non ha soldi, non può più espandersi con investimenti esteri e deve inviare un messaggio, agli Stati Uniti e soprattutto ai Paesi satelliti. Dall’attacco è passata alla difesa, vuole comunicare che è disposta ad andare fino in fondo. Lo ha fatto con l’Australia, che si è “permessa” di aderire alla richiesta internazionale di trasparenza sulla gestione del Covid-19. Ha risposto con un’ondata impressionante di dazi e con il blocco degli scambi commerciali.

L’Italia può finire nel mirino?

L’Italia non è nel mirino perché è legata a doppio filo da una dipendenza politica da Pechino che da una parte danneggia il rapporto con gli Stati Uniti ma dall’altra la salva dalle rappresaglie, per ora. Questo non può durare in eterno. La Cina ora non può permettersi incentivi, né “comprare” nuovi Paesi, ma può usare la rete di dipendenza costruita in questi anni per minacciare ritorsioni. Mi fai uno sgarbo? Non vola più un solo charter di turisti cinesi nel tuo Paese. Neanche l’Italia è esente da questo rischio.

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