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Da Mediobanca a Borsa Italiana, se il Golden power non basta più. Parla il prof. Hinna

Non è ancora detta l’ultima parola, manca ancora il parere del Consiglio di Stato. Questa volta però sembra davvero definitivo l’aggiornamento del Golden power tessuto e poi rifinito nei dettagli dal governo Conte bis. Lo schema di dpcm sui “poteri speciali” a difesa dei settori strategici è stato inviato alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Dentro, la lunga lista di filiere protette dallo “scudo”, dall’energia (gas naturale, greggio, combustibili, energia elettrica) alla sanità, dall’aerospazio all’agroalimentare fino alle infrastrutture elettorali.

Il diametro è ampio, molto più di quanto non lo fosse quello previsto dalla disciplina del 2012. Non ampio abbastanza secondo una parte dell’opposizione, che è insorta contro il governo per l’esclusione della siderurgia. La Lega, con la deputata Barbara Saltamartini, denuncia una “manina” che ha sbianchettato nel dpcm un settore incluso nel Decreto liquidità dopo un emendamento del Carroccio.

Settore in più, settore in meno cambia poco, confida a Formiche.net Luciano Hinna, presidente del Consiglio sociale per le Scienze sociali e docente di Economia aziendale. Che il nuovo Golden power, studiato e messo a punto sotto la regia del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, sia uno strumento efficace e innovativo, nessun dubbio. Peccato che da solo non basti.

“Manca il cuore, cioè una strategia industriale. Non si può decidere pezzo per pezzo. Mi sembra che lavoriamo sull’ultimo fotogramma del film, perdendoci la trama. Se non c’è un piano industriale non basta dire cosa è strategico o cosa no. Se domattina io, azienda straniera, decido di comprare il Parmigiano reggiano, lo compro, un modo lo trovo. I francesi sono più chiari. Una volta scelti i settori strategici, non vendono nulla”.

In altre parole, dice Hinna, il Golden power “è una possibilità di nazionalizzazione. Ma per nazionalizzare un settore bisogna capire come è fatto, come si muove. Abbiamo già commesso questo errore in passato. Penso al mercato delle tv a colori, che era in mano ad aziende di Stato e, per paura di decidere, abbiamo perso. O alla nautica da diporto, alle telecomunicazioni”.

Se insomma lo strumento è definito, il sistema di difesa degli asset strategici non è completo. Non come in Francia, dove “esiste il Golden power, ma esiste anche un sistema di intelligence economica, statale ed aziendale, che non fa avvicinare investitori esteri ai settori chiave dell’economia, non permette, ad esempio, che una multinazionale italiana si faccia avanti”. Nella normativa italiana ci sono gli elenchi, manca invece “un perimetraggio netto e inequivocabile dei settori. Abbiamo permesso che la Fiat se ne andasse in Olanda. Non possiamo dire che l’automobile non sia strategica, ci abbiamo costruito cinquant’anni di politica industriale”.

Sull’esclusione del settore siderurgico non c’è da strapparsi le vesti. Dopotutto “quel settore vede nero. Il mercato è in crisi, è fermo un po’ tutto”. In poche parole, oggi non fa grande gola agli investitori esteri. Bene invece l’inclusione del settore bancario e assicurativo, “con le quotazioni altalenanti è la parte più appetibile”. Questi sì fanno gola, anche ai vicini di casa.

A partire dalla Francia. Su questo sospetto almeno si fondano i timori del Copasir sulla scalata di Leonardo Del Vecchio, presidente esecutivo di Essilor-Luxottica, in Mediobanca e, di converso, in Generali. “È oggettivo che l’operazione vada monitorata – spiega il professore. Quanto al Leone di Trieste e al rischio che sia finito nel mirino dei cugini d’Oltralpe, “non è una scoperta. Che Generali sia nel mirino di qualcuno lo sappiamo da anni, fa gola a un sacco di gente, non solo ai francesi ma a tanti gruppi asiatici. È una testa di ponte. Metti una mano su Generali e hai un passpartout per entrare nel mercato italiano. Un po’ come quando Muhammar Gheddafi comprò un pezzetto di Fiat. Fu un’operazione politica che ebbe i suoi risvolti”.

Ma Piazzetta Cuccia non è l’unica meta di shopping dei francesi. Nel mirino della francesissima Euronext c’è niente di meno che Borsa Italiana, oggi in mano alla London Stock Exchange che però, causa Brexit e causa regolamenti europei, dovrà presto liberarsene. Da tempo si parla dell’interessamento dei francesi su Piazza Affari. Milano Finanza (Mf) ha rivelato che non si tratterebbe di un blitz, ma di un’operazione congiunta fra Roma e Parigi per la costruzione di una super-Borsa europea con il timone a Parigi.

“L’operazione francese rientra in una logica di conquista della finanza europea – dice Hinna. L’errore è stato a monte, “quando abbiamo permesso che la Borsa, e i dati sensibili che le appartengono, finisse a Londra. All’epoca sì, sarebbe stato opportuno mettere in campo il Golden power”.

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