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Nel Recovery Fund 2.0 un richiamo più forte sulle riforme

Appena due ore di discussione per rinviare di due mesi la firma su un accordo che a questo punto pare inevitabile. Ma il Recovery plan, principale strumento dell’Unione europea per rispondere alla crisi da coronavirus, potrebbe cambiare radicalmente da qui all’estate e diventare più vincolante per i paesi che hanno risentito in misura maggiore della crisi, Italia in testa.

Il Consiglio europeo è terminato come previsto senza un’intesa su Next Generation Eu. Nella videoconfereza tra capi di stato e di governo (l’ultima a distanza, in luglio i leader dovrebbero riunirsi a Bruxelles) sono rispuntati fuori tutti i nodi che hanno accompagnato la trattativa fin dai primi passi. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha di nuovo lanciato l’allarme sulla gravità della situazione, ha difeso lo strumento (un fondo fatto da aiuti e prestiti distribuito secondo il criterio del bisogno), ma ha messo in discussione l’entità del piano così come è stato elaborato dalla Commissione europea guidata dalla connazionale Ursula Von del Leyen: 750 miliardi, contro i 500 della proposta franco tedesca.

I Paesi cosiddetti frugali (e non solo loro) hanno a loro volta chiesto di modificare i cardini della proposta di Bruxelles, in particolare il bilanciamento tra prestiti e grants, cioé contributi a fondo perduto. Hanno puntato i piedi sui “rebates”, cioè la diminuzione del contributo nazionale. Di nuovo oggetto di trattativa i criteri di distribuzione delle risorse e anche le ipotesi di una tassazione propria dell’Ue per finanziare il piano per la ripresa dell’economia.

Nella discussione sono però rispuntate anche le “condizionalità”. Citate espressamente dal presidente del Consiglio Ue Charles Michel come parte rilevante della discussione e sostenute durante la trattativa soprattutto dal premier olandese Mark Rutte, che ha da un lato accettato il principio della solidarietà verso paesi più colpiti dalla pandemia e dall’altro ha sottolineato come gli stessi paesi debbano “fare il possibile per riformare le pensioni, il mercato del lavoro, la tassazione e combattere l’economia sommersa”.

Chiaro il riferimento all’Italia. Che il BelPaese sia stato il centro della trattativa emerge anche dalle parole di von der Leyen, secondo la quale i leader “si sono trovati d’accordo sulla necessità di un piano che includa solidarietà, investimenti e riforme, e che dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per trovare un accordo prima della pausa estiva”. La crisi, secondo la presidente della Commissione, ha messo in risalto come alcuni Paesi siano stati meno “resilienti” di altri, quindi meno capaci di assorbire gli effetti economici della pandemia.

Da qui la necessità di adottare riforme. Se ne fa cenno nella proposta già presentata dalla Commissione, che rimanda espressamente alle Raccomandazioni specifiche per paese. Ma nel documento che uscirà dal prossimo consiglio di luglio il richiamo potrebbe essere più stringente.

Scenario ben presente al governo. Il premier Giuseppe Conte già prima del vertice aveva sottolineato come il piano della Commissione “ci aiuterà a realizzare investimenti e riforme in modo da rafforzare la convergenza e la resilienza dell’intera Unione”. Percorso già avviato, secondo il Presidente del Consiglio, tanto che il premier Olandese Rutte “ha preso atto del percorso intrapreso dall’Italia”. Riforme inevitabili, quindi. Da vedere se saranno quelle indicate da Rutte, pensioni comprese.

Altro tema che tocca l’Italia da vicino è quello dell’eventuale soluzione ponte, visto che le risorse del Recovery fund (fino a 172 miliardi tra aiuti e prestiti) arriveranno solo nel 2021, con il nuovo ciclo di bilancio europeo. Trattativa aperta secondo il premier Conte. Soluzione difficile secondo la cancelliera tedesca Merkel.

La necessità di avere subito risorse a disposizione riporta in primo piano la nuova linea di prestiti attivata dal Mes. 36 miliardi la quota che teoricamente spetta all’Italia, subito disponibili. Per i partner europei la soluzione ponte è quella. Per il premier no, almeno per il momento. Dipende dall’andamento della cassa e poi deciderò il Parlamento, ha ribadito Conte, di fatto lasciando aperta la porta a maggioranze atipiche. Il nodo politico in Italia è questo.



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