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Grillo, Tim e i veleni sulla rete unica. La versione di Oscar Giannino

Un cassetto che si apre e si chiude e poi ancora si riapre. Il tema della società per la rete unica è oggi nuovamente al centro della politica, osservato speciale da parte di mercati, investitori e operatori del settore. La nuova accelerazione è partita giorni fa dalla mossa a sorpresa del fondo australiano Macquarie (finita al centro di una seduta del Copasir, come rivelato da Formiche.net), che ha formalizzato ad Enel, azionista al 50% di Open Fiber, un’offerta non vincolante per rilevare la quota del gruppo elettrico nella società pubblica per la banca larga, nata per volere del governo Renzi. Il blitz degli australiani ha così nuovamente riacceso in riflettori intorno a una delle più importanti partite industriali degli ultimi anni: la possibile fusione tra la rete di OF e quella di Tim, per dar vita a una società unica in grado di accelerare il cablaggio ultra-veloce e a 5G del Paese, efficientando i costi. Questione peraltro finita oggi al centro del duro attacco rivolto da Beppe Grillo proprio a Open Fiber.

L’ATTACCO DI GRILLO 

Duro l’attacco di Grillo a Open Fiber, se non altro per il netto endorsement a favore dell’ex Telecom, con una rete unica a trazione dell’ex monopolista. Questo lo schema in mente al co-fondatore del M5S. Innanzitutto un’immediata salita di Cassa Depositi e Prestiti, oggi azionista di Tim con una quota di poco al di sotto del 10%, al 25%, leggermente al di sopra del primo socio privato di Tim, Vincent Bollorè (24%). Questo, nella mente di Grillo, per avere in futuro una società della rete con solida presenza pubblica. Secondo punto, la rimozione dell’attuale ceo di Open Fiber, Elisabetta Ripa, per far posto a un manager che lavori fin da subito alla società unica per la rete. Tutto questo perché, nella logica dell’ex comico, Open Fiber si è finora dimostrata un “completo fallimento”.

LA RISPOSTA DI OPEN FIBER 

Ma la risposta della società non si è fatta attendere. “L’obiettivo della realizzazione di una rete interamente in fibra ottica per tutti gli italiani è troppo importante e complesso per essere alimentato a colpi di fake news”, ha prontamente contrattaccato Open Fiber in una nota pomeridiana. “C’è ancora tanto da fare, certamente. Ma non c’è dubbio che quello di Open Fiber sia un progetto strategico che, se non supportato, vorremmo almeno non fosse denigrato”. Nel merito, sottolinea la società pubblica, “lo scritto di Grillo evidenzia che gli sono state date false informazioni  almeno sui seguenti punti: Open Fiber non fa concorrenza a tutti gli operatori tradizionali, ma solo a Tim. Tutti gli altri operatori hanno invece tratto beneficio dall’accresciuta concorrenza del mercato: negli ultimi mesi hanno infatti espresso ripetutamente giudizi positivi su Open Fiber e hanno annunciato che contrasteranno un ritorno a un monopolio verticalmente integrato con tutti gli strumenti a loro disposizione”.

Ma è sul cuore delle dichiarazioni di Grillo (una società unica privata ma sotto l’egidia di Tim, posizioni che oggi il premier Giuseppe Conte ha definito una “buona idea”) che Open Fiber mette in chiaro le cose. “Grillo ora auspica un’unica infrastruttura privata aperta a tutti, che sotto il controllo di Tim metta assieme rete mobile, 5G, banda ultra larga. Un monopolio talmente vasto che nessun legislatore o autorità potrebbe autorizzare (senza contare i legittimi interessi di chi investe tempo e ingenti risorse nel business) ma che soprattutto metterebbe il destino della rete nelle mani di chi per decenni non ha investito adeguatamente in moderne infrastrutture, generando il divide che si vorrebbe invece colmare”.

LA VERSIONE DI GIANNINO

Ma come stanno davvero le cose? L’Italia ha bisogno di una società unica, certo, ma da dove partire. Formiche.net ha sentito il parere di Oscar Giannino, giornalista e divulgatore, gran conoscitore del mondo delle telecomunicazioni. “Tanto per cominciare non spetta a un politico, che poi è un politico fino a un certo punto, prendere delle decisioni su un tema che è estremamente delicato ma soprattutto complesso”, premette Giannino. “Oggi è senza dubbio necessaria un’accelerazione nella direzione di una rete ultra-larga, questa necessità è sotto gli occhi di tutti. Ma per venire a capo di questa situazione, che vede da una parte Open Fiber e dunque lo Stato e dall’altra Tim, ovvero una società privata, occorre fare delle considerazioni. Chi conosce per esempio Tim, sa benissimo che la rete di Tim garantisce alla società sia il debito, sia la marginalità, seppur bassa, sia l’occupazione, visto che sono decine di migliaia i dipendenti di Tim che si occupano della rete”.

Fatte tutte queste premesse, secondo Giannino, “la soluzione più ordinata sarebbe quella sperimentata nel Regno Unito, dove lo Stato non è presente nel capitale della società della rete, che ha soci privati, ma è presente tramite un’attenta regolazione, che garantisca la parità di accesso alla rete. In altre parole, lo Stato non gestisce la società, ma la regola attraverso schemi molto stringenti”. Secondo Giannino, dunque, una società della rete dove lo Stato esercita un controllo stringente, pur senza partecipare al capitale. “Per arrivare a questa soluzione però”, chiarisce Giannino, c’è da fare prima una valutazione realistica da parte di soggetti terzi, della rete di Open Fiber e di quella di Tim. A quel punto si aprono due strade: o la rete pubblica va in Tim ma resta sotto una strettissima vigilanza del regolatore, dunque lo Stato, oppure creare una società che si apre al mercato, dunque a soci nuovi, come hanno fatto in Gran Bretagna. Queste secondo me sono le due strade”.

Il giornalista sembra però più propendere per una soluzione di mercato ma “fortissimamente regolata”. Ma come far digerire questo schema al Movimento Cinque Stelle? “La mia impressione è che il Movimento Cinque Stelle voglia una rete pubblica. Il problema sono i numeri. Quanto impatterebbe l’esistenza di una società unica a controllo pubblico sui numeri di Tim. Non mi sembrano così insensibili i grillini al destino di Tim”.

IL FUTURO DI ENEL

Giannino fa una riflessione anche su una possibile uscita di Enel in seguito all’offerta del fondo australiano. “Il procedimento non è immediato, credo che i tempi di questa offerta siano stati pilotati. Detto questo gli interessi di Enel mi sembrano puntati sulla transizione energetica, piuttosto che azzardare investimenti su qualcosa che rischia di diventare incerto”.


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