Skip to main content

Così Paolo Mieli resuscita il Terzismo internazionale

Imperdibile lettura di questa domenica è l’editoriale in cui Paolo Mieli sul Corriere della Sera invoca un terzismo internazionale sul Venezuela sostenendo per esempio che “pur mantenendo intatte le perplessità sul regime di Maduro, dobbiamo ammettere che sarebbe improprio definirlo ’una dittatura’”.

Questa mattina su Formiche.net analizzavamo come la scelta di Beppe Grillo di affidare all’ex ambasciatore Torquato Cardilli la difesa dalle accuse di aver ricevuto fondi dal regime di Hugo Chávez nel 2010 si sia rivelata un boomerang. Il diplomatico ha indicato la pista del complotto internazionale a causa dei buoni rapporti dell’Italia con Iran, Cina, Russia e Venezuela da due anni a questa parte. Cioè da quando il Movimento 5 Stelle è al governo. Difesa e grida al complotto che però sembrano confermare le “relazioni pericolose” ancorché legittime con i regimi, a partire da quello sudamericano.

Il caso dei 3,5 milioni donati da Hugo Chávez a Gianroberto Casaleggio? “Assai probabile” che ”finisca presto nel nulla”, scrive Mieli. Il documento all’origine della denuncia? “Ad ogni evidenza artefatto”. La testimonianza dell’ex pentatellato Giovanni Favia? “Poco convincente”. La storia di Alex Saab, imprenditore colombiano molto vicino al regime venezuelano arrestato qualche giorno fa a Capo Verde per riciclaggio e corruzione, raccontata puntualmente (e prima di tutti — permetteteci questo raro episodio di autocelebrazione) su Formiche.net? “Non mostra alcun nesso con la vicenda in questione”. Ma, continua l’editorialista, “resta il fatto che il movimento di Beppe Grillo ha mostrato fin dalle origini grande simpatia per i governanti di Caracas. E da quando è al governo, cioè da due anni, tale inclinazione ha notevolmente inciso sulla politica estera italiana. Ma questo non può indurci in alcun modo a dedurne, per un qualche automatismo, che tale simpatia sia stata compensata con del denaro in una valigetta”. 

“Si può tranquillamente continuare a ritenere che il modo con il quale Nicolás Maduro e altri leader sudamericani postcastristi governano i loro Paesi sia fortemente illiberale senza sentirsi poi vincolati a trarne la conseguenza che chi li sostiene, in patria o nel resto del mondo, sia necessariamente al soldo del regime di Caracas”, continua Mieli. “La comunità italiana in Venezuela è assai ostile a Maduro e con essa buona parte della popolazione. Ma dobbiamo constatare che c’è un’altra parte di popolo venezuelano, probabilmente maggioritaria, che invece è schierata con il governo”.

L’episodio che più ha alimentato la rabbia della comunità italiana in Venezuela verso il Movimento 5 Stelle — ma ha anche lasciato l’Italia isolata nell’Unione europea — segue l’autoproclamazione a presidente pro tempore, avvenuta il 23 gennaio del 2019, del presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidó, leader dell’opposizione. L’intenzione, come sottolinea Mieli, era deporre Maduro e indire nuove elezioni. Ecco cosa scrive a proposito l’editorialista che sottolinea non soltanto il ruolo del governo Conte e del Movimento 5 stelle ma anche del Vaticano: “Guaidó ricevette immediatamente il riconoscimento degli Stati Uniti e di quasi tutta l’Europa. Ma non del nostro Paese che (su iniziativa grillina) si tenne neutrale. Né della Chiesa che, stavolta, lasciò ad esporsi il cardinale americano Sean Patrick O’ Malley il quale in un’intervista a questo giornale disse che solo Guaidó avrebbe potuto scongiurare la guerra civile. Ma la guerra civile non ci fu. E Maduro forte di un evidente sostegno di parte della popolazione restò al suo posto. Malgrado le sanzioni imposte al Venezuela”.

Scrive, infine, Mieli: “Per quel che riguarda la contesa venezuelana, ad esempio, l’Italia si è tenuta in disparte. E si è rivelata, la nostra, una scelta saggia. Ma, a ben riflettere, non è una grande consolazione”, conclude nel suo commento sui calcoli errati dell’Occidente (Mieli cita anche la Libia, in cui l’Italia ha parteggiato per il legittimo Fayez Al Serraj ora per il suo rivale Khalifa Haftar “con imbarazzante disinvoltura”). Una conclusione che suona da alibi storico ma non salva dalla condanna.


×

Iscriviti alla newsletter